SENZA PAURA PER QUEGLI OCCHI SBALORDITI

«È che ogni bambino che nasce è una storia che comincia. I bambini nascono e ti guardano, non è vero che hanno gli occhi chiusi, ti guardano con quegli occhi spalancati. E attorno, tra chi assiste, c’è un istante, sempre, di silenzio. Anche se si è assistito a mille parti, si tace per un momento. E il bambino urla il suo vagito, che vuol dire che respira, che è vivo, ed è come un grazie, qualcosa che fa tremare. È come essere davanti a una grande sorgente inesauribile, e ogni volta ti sembra di nascere ancora, aiutando quella madre».
Flora Gualdani ha 67 anni, è maestra ostetrica a Indicatore, un piccolo paese in provincia di Arezzo. Ha fatto nascere la sua prima bambina all’Istituto degli Innocenti a Firenze, 50 anni fa. Poi, tra Firenze e questa campagna aretina, ne ha aiutati a venire alla luce migliaia. Negli anni Sessanta ha aperto una casa per ragazze madri e per i loro bambini. Poi ha girato il Terzo Mondo: ha aiutato le partorienti che nell’inferno della guerra cambogiana mettevano, comunque, al mondo un uomo. Racconta, la signora Flora, che nei paesi più poveri dell’Asia quando nasce un figlio, anche in zone i cui di figli ogni famiglia ne ha otto, è una festa; e aggiunge che un po’ era così anche da noi, in Italia, nel dopoguerra, in campagna. «Il parto in casa era la festa delle donne, il gran giorno del paese».
Mondi finiti, inutile avere nostalgie. Di vero ancora però c’è che ci hanno tolto la gioia del mettere al mondo. Fin dall’inizio della gravidanza, l’ansia: due, tre, quattro ecografie, e screening, come se quell’attesa fosse una malattia, da tenere rigorosamente sotto controllo. E il parto: corsi, preparazioni psicofisiche. Chissà come facevano le nonne, senza corsi. Facevano, e bene, perchè nessuno aveva loro instillato l’idea che partorire fosse cosa strana e difficilissima, da affidare completamente a medici, macchine, quando non alla chirurgia.
Bisognerebbe ricominciare a dire alle figlie che le donne sono naturalmente capaci di partorire. Che il parto – il primo, gli altri molto meno – è vero, è doloroso, ma non del dolore di una malattia. Far nascere un figlio è una battaglia: per la vita, però, non per la morte. E non esistono battaglie incruente, né senza paura. Ma quando te lo mettono tra le braccia e ti butta addosso gli occhi sbalorditi, non è una banale vittoria. Abbracci uno che hai sempre aspettato – segno, e primizia. Per questo, attorno, tacciono.

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