Se viviamo in una democrazia giudiziaria è anche colpa dei giornali

Di Peppino Zola
10 Dicembre 2019
Panebianco se la prende con la politica per le derive giustizialiste italiane. Ha ragione, ma dimentica un fatto importante

Caro direttore, ho sempre molto ammirato gli articoli di fondo di Angelo Panebianco, una delle “firme” più prestigiose del Corriere della Sera, anche se qualche giorno fa aveva scritto un articolo stranamente confuso sul tema oramai conformista del “populismo” e del “nazionalismo”. Questo lunedì, invece, ha scritto un articolo forte e chiaro sugli “squilibri di potere” in Italia, nel quale denuncia a chiare lettere il crescente strapotere della magistratura nei confronti del potere politico.

Panebianco arriva a scrivere addirittura (e giustamente) che

«in un certo senso la fine della prescrizione è quanto di più vicino ci sia alla introduzione della pena di morte: non morte fisica naturalmente ma morte civile di sicuro. Perché un disgraziato che ci cade dentro avrà la vita rovinata per sempre».

L’abolizione della prescrizione dopo il primo grado di giudizio, infatti, costituisce l’incivile proposta che il  ministro della (in)giustizia Davigo, pardon Bonafede, vuole introdurre a tutti i costi nel nostro Paese.

Panebianco dedica poi molto spazio a dimostrare che questa deriva contro gli elementari diritti civili viene da lontano, almeno dal 1992, quando ha iniziato a spadroneggiare il pool di “mani pulite”. Fino a definire “democrazia giudiziaria” quella che dovrebbe essere una “democrazia rappresentativa”. Tutto ciò è avvenuto anche, ma non solo, per la evidente debolezza dei partiti, che, a poco a poco, hanno indietreggiato di fronte all’arroganza della magistratura.

E Panebianco annota:

«quando i partiti cercano di riguadagnare le posizioni perdute incontrano l’opposizione di settori ampi dell’opinione pubblica».

Ma è proprio qui che il messaggio “forte e chiaro” di Panebianco diventa molto debole, per un grave peccato di omissione. Egli, infatti, omette di dire che proprio il Corriere della Sera (insieme ai vari Repubblica, Stampa, Messaggero e via stampando) è stato protagonista nell’imporre all’opinione pubblica la direzione che ora viene condannata con tanta foga. È stata l’alleanza insana tra magistratura e stampa a indebolire sempre di più i partiti, che, in base alla Costituzione scritta, dovrebbero determinare, sulla base del voto popolare (e senza altre interferenze), la politica italiana.

Troppo spesso, ad esempio, sono stati i giornali a venire a conoscenza degli “avvisi di garanzia” (mai termine è stato più ipocrita di questo) prima che gli stessi fossero notificati all’interessato (il che dovrebbe avvenire in via riservata). È stato proprio il Corriere a notificare all’allora premier Silvio Berlusconi (impegnato in un incontro internazionale) un clamoroso avviso di garanzia, che indebolì l’Italia di fronte a tutto il mondo. Sono stati i “giornaloni” a trattare come “divi” i magistati inquirenti, anche quando le loro inchieste, enfatizzate al massimo dagli stessi organi di stampa, finivano con l’assoluzione degli imputati. Sono stati i giornaloni ad applaudire agli arresti indiscriminati anche di persone poi risultate innocenti. È stato proprio l’ambiente del Corriere a diffondere prepotentemente l’idea della “casta” politica, mentre ha sempre taciuto sulla casta giudiziaria. Insomma, Panebianco non può tacere su questo aspetto determinante e inquietante del prevalere del potere giudiziario su quello politico.

Questa situazione, tra l’altro, ha indotto atteggiamenti diversi di fronte agli errori delle istituzioni. Gli errori della politica sono sempre e comunque imperdonabili. Quando agisce la magistratura, invece, tutti sono obbligati ad esternare sentimenti di “rispetto”, anche quando sono evidenti gli errori di certi giudici. Di fronte ad una legge sbagliata si possono scrivere articoli, organizzare manifestazioni, dirne di tutti i colori. Di fronte a provvedimenti sbagliati dei giudici, tutti sono tenuti al silenzio, a partire dalle massime cariche dello Stato, mentre penso che ogni atto pubblico possa essere criticato, anche se si tratta di una sentenza. Invece, i giudici sono intoccabili. È la “democrazia giudiziaria”, bellezza!!

Occorrerebbe che tutti contribuissimo a rendere chiare le ragioni di questa alleanza tra magistratura e giornali. Dicono che i giornali si sono comportati così per vendere più copie (cioè per essere populisti), ma l’osservazione non regge, visto che i giornali hanno continuato a vendere meno. Forse è il moralismo (non la moralità) sempre più diffuso a favorire la ricerca sempre e comunque di un colpevole. Almeno in parte è vero che c’è una enorme debolezza ideale della politica. Tutto ciò non è esauriente per dire il perché di quella alleanza. È evidente che è un problema di potere. Ma potere per che cosa? Per continuare un regime democratico o per cambiare  regime? Un potere per il benessere del popolo o per il suo arretramento? Finora, lo strapotere di certi giudici ha avuto il solo risultato di fermare le cose in atto. L’Italia ha perso tante industrie e tante commesse ed ha visto tante imprese bloccate. A quando una seria autocritica? Non saranno certo gli organi di stampa a farlo. Potrebbe cominciare Panebianco, completando il suo articolo di fondo.

Peppino Zola  

Foto Ansa

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