Fulvio Ervas è la penna del romanzo “Se ti abbraccio non avere paura”. E venuto a contatto con la storia di Franco nel 2010: «A settembre era tornato dal suo viaggio, aveva il desiderio di mettere ordine ai suoi appunti, e probabilmente aveva la sensazione di aver fatto un’impresa originale e importante, per sé e per suo figlio». Attraverso un amico comune si incontrano, e inizia un lavoro, durato quasi due anni, di elaborazione sull’esperienza vissuta.
«Insegno in una scuola superiore in cui accogliamo, cercando di farlo al meglio, diversi studenti con disabilità» spiega Ervas a tempi.it. «La vita è piena di sfumature, E questi ragazzi ne sono espressione piena. La condizione emotiva di un ragazzo autistico non mi è estranea, pur non essendo un esperto. Mi ha colpito Andrea, la sua fisicità, la sua eleganza gestuale, certi sguardi profondissimi, anche se sfuggenti. E mi ha colpito Franco».
Perché? «Ogni genitore che abbia un atteggiamento positivo verso i propri figli mi colpisce. Un padre che decide, anche contro molti pareri, di uscire dagli schemi, di esplorare più a fondo l’autismo dei figlio ed esplorare sé come uomo e come padre, può non colpirti? E poteva lasciare indifferente uno che dice: cosa può succedere ad un padre con un figlio autistico, girando per il mondo, di più complicato di quanto stia già affrontando quotidianamente? Gli ostacoli non sono nei chilometri ma nel difficile rapporto con questa malattia».
Tra i due si è creato un rapporto solidale, come capita spesso tra due padri: «Siamo due persone che per i propri figli qualche faticaccia se la sopportano volentieri. Perché p stato questo, il punto da cui abbiamo iniziato a costruire». Un altro elemento in comune è stata una sensibilità molto simile: «Niente piagnistei. Si possono fare, se uno lo desidera, noi no. Pensare al domani, sentire che si ha la forza di reagire e non subire. È il rapporto tra due viandanti, ciascuno con il suo particolare allenamento, la sua conoscenza del percorso, le sue illusioni, i suoi sogni, ma entrambi capaci di camminare fianco a fianco, per un tratto, raccontandosi cose della vita che si ascoltano solo poche volte, solo su certe strade. Solo da certe persone. E che ti fanno crescere».