«Se io non porto Cristo agli uomini sono un prete fallito»
Io risponderei così: Ho avuto da Dio il dono di un’autentica formazione cristiana, essendo nato in una famiglia di profonda fede e vita evangelica. La fede è entrata in me come la lingua italiana, me l’hanno trasmessa i miei genitori, i servi di Dio Rosetta e Giovanni, che fin da bambini piccoli ci facevano pregare assieme in famiglia con varie preghiere e il Rosario serale, ci portavano in chiesa e a socializzare e aiutare le famiglie povere. Mamma Rosetta morì nel 1934 quando avevo cinque anni e papà Giovanni andò in guerra nel 1940 e morì in Russia nel 1942. Mi ha allevato ed educato la nonna Anna che diceva sempre: «Tu stai con Gesù e Gesù starà con te», che è il ritornello della mia vita.
Quand’ero bambino e lei mi raccontava la storia di Gesù e di Maria, la sua e mia Madre celeste, io piangevo. Se nel nostro paese di Tronzano Vercellese c’era qualche scandalo o disgrazia, la nonna chiamava noi tre ragazzini accanto a sé, ci faceva pregare e poi diceva: «Cosa farebbe Gesù in questa circostanza? Cosa direbbe la Madonna?». Nonna Neta (Anna) era semi-analfabeta (I elementare e poi al lavoro), ma aveva educato i suoi dieci figli, poi noi tre nipoti, con l’intelligenza della fede e del cuore. Citava spesso frasi del Vangelo imparate a memoria.
[pubblicita_articolo]Sono diventato sacerdote missionario, ho avuto santi sacerdoti che mi hanno guidato, mi sono laureato in teologia missionaria, ma i genitori e la nonna Anna mi hanno educato alla fede. Rosetta e Giovanni, ancor oggi sono ricordati come santi nel mio paese, quando si sono sposati nel 1928 hanno pregato perché almeno uno dei loro figli o figlie consacrasse la sua vita a Gesù Cristo e alla Chiesa. Il Signore ha scelto me e di questo sono ancora grato a mamma e papà, perché la mia vita è stata piena di gioia pur nelle prove, tentazioni, sofferenze e intenso lavoro, che sono il retaggio comune degli uomini.
“Chi è per te Gesù Cristo?”. È tutto il mio amore, tutta la mia gioia, l’unico fine a cui cerco di orientare le mie azioni, i miei affetti e pensieri. Non sempre ci riesco, ma a lui ho consacrato la mia vita e in questi anni che Dio mi concede di vivere vorrei diventare sempre più simile al modello divino che il Signore Gesù mi presenta nei Vangeli.
Chiedo al Signore di rinnovarmi ogni giorno il gioioso stupore e l’entusiasmo della prima Messa che ho celebrato il 29 giugno 1953 nel mio paese di Tronzano Vercellese; di concedermi il dono delle lacrime per commuovermi pensando che io, povero peccatore, chiamo sull’altare il mio Dio e lo distribuisco in cibo all’umanità affamata. Mi chiedo se l’annunzio che faccio di Cristo con la vita, gli scritti e la parola, è ancora un messaggio di gioia, di quella gioia che gli angeli comunicavano ai pastori nella “notte santa”: «Oggi nella città di Davide è nato il vostro Salvatore, il Cristo, il Signore» (Luca, 2, 10-11).
All’inizio degli anni Duemila ho tenuto una conversazione ad Arezzo dal titolo: “Gesù, pietra d’inciampo”. La missione della Chiesa diventa sempre più difficile perché Gesù Cristo fa problema, imbarazza, scandalizza: «Scandalo per gli ebrei e follia per i pagani», diceva san Paolo (1 Cor. 1, 23). La crisi del mondo cristiano è una crisi di fede in Cristo, unico Salvatore dell’uomo, dell’umanità. Viviamo in una società non di atei, ma di idolatri. Il Dio fatto uomo in Cristo è stato sostituito dagli idoli: denaro, sesso, carriera, potere, gloria, superstizioni, “religione fai da te”, maghi, oroscopi, eccetera. Il sociologo Franco Garelli conclude una sua indagine dicendo che oggi in Italia «la religione è forte ma la fede vacilla».
Negli anni 1992-1994 ho parlato tutti i sabati sera alla tv di Rai Uno, spiegando il Vangelo domenicale, con un ottimo indice di ascolto (parlavo dalle 19.30 alle 19.45, poco prima del telegiornale). Un amico giornalista della Rai Uno mi ha detto: «Tu parli spesso della salvezza in Cristo, ma c’è un abisso fra l’ammirazione per Gesù grande profeta e il credere che egli è Dio. Il suo messaggio di amore e di giustizia è l’unico che può salvare l’umanità dall’egoismo, dall’odio, dalle guerre. Ma non c’è bisogno di credere che Gesù è Dio e obbedire alla Chiesa, per voler bene al prossimo. Per cui, se Gesù mi dice di aiutare i poveri, di perdonare le offese, di educare i figli all’onestà e all’amore, mi sta bene, cerco di fare anch’io così. Ma se la Chiesa, a nome suo, mi impone molti altri precetti e divieti, la grande maggioranza degli italiani, pur battezzati, non la seguono più. Per cui dammi ascolto, parla dell’amore come ispirazione per la nostra vita e avrai ampi consensi, ma lascia perdere che Gesù è Dio e che la Chiesa parla a suo nome: sono concetti discutibili che suscitano divisioni e sentimenti di integrismo in chi crede».
Gli ho risposto dandogli una citazione di don Primo Mazzolari, che in un suo libretto sul sacerdozio ha scritto: «La mia missione di prete è di amare e vivere in Gesù Cristo, testimoniarlo e portarlo agli uomini. Posso fare molte cose buone nella vita, ma l’unica veramente indispensabile è questa, comunicare il Salvatore agli uomini, che hanno fame e sete di Lui. Se io non porto Cristo agli uomini sono un prete fallito».
Nel nostro tempo l’identità cristiana è molto debole. Abbiamo attraversato una lunga stagione in cui il cristianesimo sembrava ridotto a una morale. I “valori evangelici” sono apprezzati da tutti (amore, pace, giustizia, solidarietà), ma la fede e l’imitazione di Cristo molto meno. Si prende il messaggio e non il messaggero: l’annunzio che solo Cristo salva l’uomo è considerato “integrismo”.
La salvezza in Cristo è stata secolarizzata. Il cristianesimo è spesso ridotto ad una specie di “religione dell’umanità” (come volevano gli illuministi del Settecento), la Chiesa intesa come società filantropica e di riferimento morale. Oggi la Chiesa è vista bene da molti, come strumento di pace sociale, come richiamo all’etica, come assistenza ai poveri, ai marginali, ai drogati, ai popoli del “terzo mondo”. La Chiesa pilastro della società, non perché predica Gesù unico Salvatore dell’uomo, ma perché pone rimedio, con i suoi preti, suore, volontari, istituzioni caritative ed educative, ai disastri delle “strutture di peccato” nelle quali siamo tutti immersi.
Insomma, si riduce il cristianesimo a un sistema morale e consolatorio dell’uomo alienato dal capitalismo e dal materialismo, passando da Gesù Figlio di Dio, unico Salvatore dell’uomo, ai “valori morali” che sarebbero comuni a tutti. La gente ha fame e sete di Dio e noi le diamo il “discorso dei valori”, che ha senso solo se centrato sulla persona di Cristo.
In Cina, visitando nel 1980 il seminario della diocesi di Sheqi, ho incontrato una ventina di giovani e uomini che studiavano da sacerdoti, senza libri (infatti ci chiedevano libri sacri e il Concilio Vaticano II in cinese), senza biblioteca, quasi senza insegnanti. Due soli sacerdoti dirigevano il seminario: il vescovo stesso e il parroco della cattedrale, factotum della diocesi. Ho chiesto al vescovo (vent’anni di carcere) come è possibile formarli alle scienze sacre e mi ha risposto: «Noi qui preghiamo molto e formiamo uomini innamorati di Cristo e forse prossimi martiri per la fede».
“Chi è per te Gesù Cristo?”. Ecco la domanda da porre a chi si dice cristiano. La fede non è solo un fatto intellettuale staccato dall’esistenza quotidiana, ma amore e passione per Cristo che trasforma tutta la vita. Giovanni Paolo II è stato chiaro: la missione è comunicazione di un’esperienza, per cui «il vero missionario è il santo» (Redemptoris Missio, 90). «Chi vive veramente il Vangelo vale di più, per la missione alle genti e la nuova evangelizzazione, di tutti i piani pastorali e i documenti e i comitati, perché il Santo è il Vangelo vissuto oggi», come diceva e ripeteva al Consiglio pastorale diocesano il cardinale Carlo Maria Martini.
Dobbiamo essere innamorati di Gesù! San Paolo diceva di essere stato «afferrato da Cristo Gesù» (Filippesi, 3, 12): «Mihi vivere Christus est», per me vivere è Cristo. E aggiungeva: «Quello che per me era un vantaggio, per amore di Cristo l’ho ritenuto una perdita. Considero ogni cosa come un nulla in confronto alla suprema conoscenza di Cristo Gesù mio Signore, per il quale mi sono privato di tutto e tutto ritengo come spazzatura, pur di guadagnare Cristo» (Filippesi, 3, 7-8). Nelle lettere di san Paolo ricorre 164 volte l’espressione: “In Christo”, cioè la vita in Cristo.
Concludo: A chi lo cerca davvero, Cristo si fa trovare. E quando l’hai trovato non lo lasci più, perché è bello stare con Lui.
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