
Se elettrodi wireless impiantati nel cervello aiutano l’uomo a restare umano (altro che robot)

Uomini cyborg in grado di tenere testa ai futuri progressi delle macchine intelligenti; microscopici lacci neurali iniettati nel cervello con una siringa e che poi si aprono in un ventaglio di filamenti dotati di nanosensori; persone che aumentano le proprie capacità intellettive grazie a un’interfaccia diretta con i pc impiantata nella corteccia cerebrale.
SINGOLARITISMI. I progetti a cui sta lavorando Neuralink, di proprietà (presunta) dell’eclettico pioniere della tecnologia Elon Musk, sembrano più adatti alla collana di fantascienza Urania che al rigoroso mondo della scienza. Ne parlava ieri il Corriere della Sera, raccontando che «i primi esperimenti all’intersezione tra nanotecnologie, biologia ed elettronica sono di un paio d’anni fa» e destano enorme interesse.
L’azienda della Silicon Valley sembra andare nella direzione dei singolarità tecnologica che, come ha spiegato Mattia Ferraresi nell’ultimo numero di Tempi, consiste nella «unione fra l’intelligenza umana e l’intelligenza artificiale che moltiplicherà di miliardi di volte il nostro potere creativo, cancellando il confine fra l’umano e il post umano. Sarà un indistinguibile continuum». Umanità aumentata, insomma, che ha tra i suoi modesti scopi quello di raggiungere l’immortalità.
TETRAPLEGICO MANGIA DA SOLO. La scienza però non si applica solo all’ideologia di chi vuole fare dell’uomo un novello dio, così come l’applicazione di elettrodi e connessioni wireless al cervello non serve solo a stuzzicare i sogni di avanguardie tecnologiche. Lo dimostra uno studio apparso lunedì nell’importante rivista medica The Lancet, che spiega come un tetraplegico sia tornato dopo dieci anni a mangiare e a bere da solo utilizzando il suo braccio e la sua mano destra.
Com’è possibile? La lesione della colonna vertebrale impedisce la comunicazione tra cervello e muscoli, ma né l’uno né gli altri sono danneggiati. Così, una squadra di scienziati dell’Università di Washington ha studiato un modo per aggirare il problema collegando cervello e muscoli in modo alternativo attraverso fili, elettrodi e software informatici. Secondo il coautore dello studio, Bolu Ajiboye, « è il primo caso al mondo di persona affetta da paralisi totale che torna a fare movimenti funzionali».
GRATTARSI IL NASO. Bill Kochevar, 56 anni, è caduto in bicicletta dieci anni fa procurandosi gravi lesioni alla quarta vertebra cervicale. Ma grazie a due unità di controllo fissate in testa, 192 micro-elettrodi impiantati chirurgicamente nel cervello e 36 elettrodi fissati nel braccio e nell’avambraccio, i segnali che invia dal cervello per muovere braccio e mano destra arrivano nuovamente a destinazione. Così, con l’aiuto di una protesi al braccio per alleviare il peso della forza di gravità, Kochevar è riuscito a mangiare, bere e perfino grattarsi il naso senza l’aiuto di nessuno.
L’anno scorso, un altro studio pubblicato sul Journal of NeuroEngineering and Rehabilitation ha mostrato come il giovane Adam Fritz, paraplegico in seguito a una lesione del midollo spinale, sia riuscito con una simile tecnologia a tornare a camminare. Prima di riuscire nell’esperimento, sia Adam che Bill hanno dovuto riabituare il cervello a inviare segnali a destinazione, fissando intensamente con gli occhi l’arto che volevano muovere (alla faccia di chi sostiene che la volontà è solo un’illusione prodotta del cervello).
SERVIRE L’UOMO. Kochevar è al settimo cielo: «Per me che non posso più fare niente, muovere anche solo un pochino il braccio è un risultato impressionante». Gli autori dello studio hanno specificato che «per il momento il trattamento non può essere utilizzato fuori dal laboratorio» e che serviranno «ulteriori indagini» per perfezionare la tecnologia e soprattutto miniaturizzarla per renderla meno invasiva. Oltre a migliorare la qualità della vita dei malati, simili tecnologie permetterebbero di «ridurre drasticamente i costi medici» per il sistema sanitario, dovuti alle conseguenze di «una lunga vita sedentaria su una sedia a rotelle».
È la dimostrazione che la scienza, anche quando parla di elettrodi impiantati nel cervello con connessioni wireless e lacci neurali, non è destinata a disumanizzare l’uomo con la scusa di potenziarlo, ma può continuare a servirlo.
Foto Ansa/Ap
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