
Scuola e trasporti, lo scandalo del rientro impossibile

Serve un generale Figliuolo anche per la scuola. Dal 26 aprile 7 milioni di studenti torneranno in classe, quelli delle superiori al 60 per cento nelle regioni gialle e arancioni, al 50 nelle zone rosse: soglie minime, precisano dal governo, la priorità ai maturandi, indicano dal ministero dell’Istruzione. Soddisfatte le Regioni, soddisfatti i sindacati, soddisfatti i presidi, la retromarcia del governo sul rientro al 100 per cento viene accolta come «soluzione di buon senso» e tutto – cioè la fine dell’incubo per milioni di ragazzi – viene rimandato a settembre, prima di allora studenti di licei e atenei continueranno a frequentare a singhiozzo in attesa che i prefetti stabiliscano quote e regole per i trasporti.
Centinaia di milioni finiti dove?
Ma cosa è stato fatto per la scuola fino ad oggi? La risposta è niente. A ottobre il governo aveva stanziato 300 milioni per l’implementazione delle flotte attingendo alle compagnie private: o meglio li aveva autorizzati, ricordate il caos su anticipi, risarcimenti e decreti scoppiato tra governo e Regioni? E a gennaio, lo ha ribadito il premier Draghi stesso in conferenza stampa il 16 aprile «lo Stato ha stanziato 390 milioni per il trasporto pubblico locale, da attuarsi con le regioni. Sui trasporti pubblici ci sono delle limitazioni al 50 per cento, è stato fatto molto. Una parte deve essere ancora spesa. Sentiremo le iniziative che le Regioni dovranno prendere al riguardo». Di questi, 195 milioni sono già stati anticipati agli enti locali per «fronteggiare le esigenze di trasporto degli studenti conseguenti all’applicazione delle misure di contenimento della diffusione del Covid 19».
Sono passati quattro mesi, ne manca uno alla fine della scuola. Sì, c’è stato un lockdown di mezzo, sì, permangono differenze abissali riguardo alla gestione delle risorse (vedi la Lombardia che a ottobre le aveva destinate ai ristori dei fornitori di servizio, vedi l’Emilia che pur ampliando il parco corse non ha potuto utilizzare tutte le vetture causa riduzione dei bisogni dei pendolari con le scuole chiuse). Ma il rientro in osservanza degli standard di distanziamento del 100 per cento degli studenti, dopo mesi di tavoli, manovre, confronti, resta ancora ovunque impensabile.
«Due anni per i mezzi necessari»
Ci vorrebbe un raddoppio mezzi, dicono dalla Lombardia, non esistono mezzi a sufficienza sul mercato, dice il governatore veneto, ci vogliono il doppio delle corse e differenziazione fasce orari per ingressi e uscite da scuola, dicono dalla Basilicata. In Toscana possono arrivare al 75 per cento, in Friuli, spiega al Corriere il governatore Fedriga, neo presidente della Conferenza delle regioni, «per ordinare mezzi non basta un anno, servono almeno un anno e mezzo, due per avere i mezzi necessari. Centinaia di autobus non si comprano come andare in un concessionario di auto. Non è mancanza di volontà né di risorse, è proprio mancanza fisica di mezzi. Servono 22 mesi, ad esempio, per avere un nuovo treno della metropolitana».
La difficoltà a reperire mezzi si segnala anche in Emilia-Romagna, in Piemonte la situazione è la stessa di novembre e il rientro al 100 per cento a scuola sarà possibile solo riorganizzando le lezioni su due turni. Per il governatore ligure Toti occorrerà «cambiare le regole sull’affollamento dei mezzi perché non credo che sarà fattibile tenere il limite di capienza al 50 per cento con l’intero sistema scolastico in produzione». Nelle Marche preoccupa la recrudescenza dei contagi ma anche la tenuta delle scuole con i doppi turni che tolgono il tempo di studiare agli studenti costretti alle lezioni pomeridiane.
«Nessuna programmazione»
Al di là delle difficoltà oggettive, il presidente di Sistema Trasporti Francesco Artusa denuncia all’Adnkronos il coinvolgimento solo del «10 per cento della flotta dei bus turistici. Ma in modo assolutamente inutile. Perché il sistema è restato lo stesso, non è stato modificato: manca ancora il controllo sulla salita sui mezzi, che è impensabile possano fare gli autisti e non viene eseguito il tracciamento di chi sale a bordo, che in un sistema centralizzato come il “Door to School” invece sarebbe stato garantito. Non c’è stata programmazione né logistica. Come in un gioco dell’oca dopo un anno siamo semplicemente tornati al punto di partenza senza che niente sia stato fatto». Artusa dice che i suoi appelli al governo cadono nel vuoto, che all’Italia non interessa mettere in sicurezza gli studenti ma il profitto: usare fondi – come da dicitura del governo – al fine di garantire i ricavi del Tpl, «affari per pochissimi».
Al netto delle criticità, così diverse fra città, territori e regioni, a oltre un anno dalla prima serrata dei primi istituti, resta la mancanza di un piano straordinario per i trasporti, per tornare tutti a scuola in una situazione straordinaria. Resta un altro impegno del governo, «tutti in presenza dal 26 aprile» posticipato a data da destinarsi, restano migliaia di studenti a casa.
Foto Ansa
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