Con le elezioni in arrivo, il periodo pre-elettorale si accentra su vari problemi, tra cui anche il problema “scuola”. Ogni partito, ogni aggregazione politica, esprime soluzioni, formulate non con un orizzonte futuro, bensì in contrapposizione le une alle altre, facendo sì che complessivamente le proposte programmatiche appaiano, non tanto originali, ma pezze tese a coprire lacune. Non esiste una idea che richiami ad un sistema unitario, ad un futuro sostenibile: ciò che si evidenzia dalle diverse interpretazioni è la mancanza di prospettive che non tendono a migliorare il sistema educativo e formativo.
E’ necessario e urgente affrontare il problema di un nuovo sistema educativo, analizzando prospettive nuove per l’educazione e la formazione. In parole più semplici, sempre con maggiore intensità, appare la necessità di una “riforma globale” che colga l’occasione, data da queste nuove elezioni, di un orientamento attivo diverso e culturalmente più realistico. Per un bilancio ed una apertura sul futuro ci aiuta la pubblicazione, di Malizia, Nanni, Cicatelli, Tonini “Il sistema educativo italiano di istruzione e formazione” (LAS Roma), che attraverso l’escursus del sistema scolastico dalle sue origini al secolo XIX, e pone attenzione sulla stagione degli ultimi vent’anni.
Negli ultimi tempi il sistema educativo italiano è sembrato diventare sempre più funzionale al sistema produttivo. Permane, sia nella scuola che nella formazione professionale, la necessità di affidamento del compito educativo nel senso di contribuire maggiormente allo sviluppo globale della personalità, tanto sul piano cognitivo emotivo e valoriale, quanto negli aspetti individuali e della dimensione sociale.
Occorre dare una nuova impostazione “neo-umanistica e solidaristica”. Sul piano strutturale, dello sviluppo, della protezione dell’ambiente, della tutela/promozione dei diritti umani tutti e di ciascuno, della mondialità e di uno sviluppo umano sostenibile, si pongono le finalità educative dei valori emergenti della solidarietà. Il tutto mediante procedure democratiche e partecipative: in particolare con il riconoscimento ad ogni singola comunità scolastica formativa di autonomia amministrativa, pedagogica, didattica e di ricerca innovativa e migliorativa, realizzando così uno strumento per eccellenza di gestione del sistema formativo e di costruzione del tessuto educativo. Il tutto corroborato dalla sussidiarietà, dalla progettualità e dalla flessibilità, nonché dalla collaborazione tra Stato, Regioni, privato sociale e privato profit, in una prospettiva di “scuola della società civile”, piuttosto che di una scuola di Stato. Oltretutto, dal punto funzionale, ciò permetterebbe di ovviare alla inadeguatezza del garantismo degli apparati amministrativi della scuola.
In sintesi una “riforma” che si ponga l’obiettivo precipuo dello sviluppo e della valorizzazione della persona del giovane; della formazione di comunità educanti autonome come fulcro promotore primo e soggetto referente ultimo; della realizzazione di un nuovo patto educativo, o meglio di una nuova alleanza sociale famiglia/scuola/territorio; della promozione di un orientamento e di una funzione tutorale nella costruzione dell’identità personale di ciascun allievo; della coniugazione di una formazione culturale e professionale integralmente umana; della introduzione di una educazione alla cittadinanza attiva e democratica.
Da qui, sul piano didattico, la transizione di un insegnamento inerte a uno vitale, che abbandoni l’idea dalla pura e semplice trasmissione di contenuti per passare alla pratica di una costruzione attiva che rende gli studenti attori dl loro apprendimento. Ciò comporta: * scegliere dall’enorme patrimonio del sapere, scolastico ed extra scolastico, quelle conoscenze ed abilità che sono da considerarsi essenziali per lo sviluppo integrale della persona; * approfondire la questione del passaggio dall’insegnamento all’apprendimento, che non può fondarsi soltanto su automatismi psicologico o sulle potenzialità evocative ella parola; * fare ricorso a tutte le modalità dell’apprendimento senza trascurare le valenze evocative ed effettive del sapere; * utilizzare una didattica basata su compiti reali, realizzata in laboratori e ponendo in essere percorsi non necessariamente lineari ma fondati su nuclei di saperi collegati con i processi presenti nella realtà; * focalizzare la formazione alle competenze non solo su quelle fondamentali o di base che riguardano la lettura, la scritture il calcolo e su quelle tecnico-professionali necessari per lo svolgimento di determinati valori, ma anche sue competenze trasferibili che consentono di adattarsi ai diversi contesti occupazionali; * rendere partecipi gli studenti e gli allievi delle pratiche di valutazione, esplicitando i criteri di giudizio in modo da sviluppare capacità personalizzate di valutazione dei fatti, eventi, persone, strategie formative, ecc… creando una reale e partecipata comunità di apprendimento; * infine, trovare nel contesto esterno riscontri positivi dell’utilità di quello che si apprende a scuola.
Si chiede quindi alla politica e a tutti di porsi in una prospettiva di rinnovato impegno per corrispondere adeguatamente alla domanda personale e sociale di formazione del Paese, specie di fronte alle istanze che in tal senso provengono dalla società della conoscenza e da un mondo sempre più ambiguamente globalizzato.
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