Una misericordia senza ravvedimento colpirebbe il futuro e la parte più debole della società: i bambini. Così l’arcivescovo di Vienna, Christoph Schönborn, in un’intervista rilasciata dieci giorni fa e ripresa mercoledì scorso dal National Catholic Register ha ricordato, in vista del Sinodo di ottobre sulla famiglia, il trauma infantile causatogli dal divorzio dei suoi genitori.
LE CONSEGUENZE. «Qualcosa si rompe per sempre nella vita del bambino» quando suo padre e sua madre si separano. «È così evidente che le prime vittime del divorzio sono sempre i bambini», ha ribadito il cardinale. D’accordo con l’usare misericordia nei confronti di qualsiasi peccatore, secondo il cardinale «prima di parlare della sofferenza dei genitori dobbiamo però parlare della sofferenza dei bambini». Il cardinale ha quindi raccomandato la lettura della catechesi di papa Francesco del 20 maggio scorso, in cui si ricordano i figli che portano i pesi del divorzio. Inoltre, «se parliamo di misericordia, dobbiamo anche parlare di coloro che vengono lasciati soli», anch’essi completamente espulsi da un dibattito che rischia così di essere parziale. Per questo «Papa Giovanni Paolo II, nella Familiaris Consortio pone un passaggio molto commovente circa i coniugi abbandonati, che soffrono questa situazione sia dal punto di vista esistenziale sia economico». Anche loro «hanno bisogno dell’attenzione della Chiesa».
DANNO ALLA SOCIETA’. Il rischio, ha spiegato il cardinale, è che la tolleranza culturale circa le separazioni arrivi a indulgere verso un peccato dalle conseguenze enormi su tutta la società. Dopo i figli e i coniugi abbandonati, c’è un terzo punto infatti, menzionato anche dal catechismo, che secondo Schönborn «è quasi totalmente assente da tutte le discussioni: il danno che il divorzio infligge alla nostra società». Il catechismo lo chiama addirittura una «piaga sociale». E, infatti, insieme ai disastri economici derivanti dalle divisioni familiari, bisogna tenere conto «persino dei bambini che non hanno i genitori divorziati» ma che «subiscono l’influenza del divorzio. Temendo che il matrimonio dei loro genitori si possa rompere o che il loro stesso matrimonio non durerà».
«LA PARROCCHIA È LA MIA CASA». Se la rottura coniugale è così dannosa, come si spiega che Schönborn, figlio di due separati, sia diventato cardinale? La risposta dell’alto prelato è nella presenza intorno a lui di una «una grande rete familiare (…) noi, i bambini, non siamo stati lasciati soli dalle nostre zie, zii e cugini», mentre «l’effetto del divorzio su un nucleo isolato (…) è più drammatica». In secondo luogo, ha continuato il prelato, «fui chiamato da Gesù molto presto, all’età di 11 anni» quando «avevo già avuto una vita religiosa personale intensa, che mi aiutò a superare il dolore». Infine, la presenza di una comunità ecclesiale forte lo portò addirittura ad esclamare davanti alla madre: «La parrocchia è la mia casa!». La Chiesa deve dunque accogliere, ma consapevole del male e senza edulcorare il dramma. Perché «Gesù disse alla donna: “Io non ti giudico”» ma poi le chiese di ravvedersi. È quindi evidente che «astenersi dal giudizio non significa dichiara bene il male e il male il bene».
Circa le conclusioni e il dibattito sul Sinodo, Schönborn spera in un esito simile al primo Sinodo della Chiesa a Gerusalemme «il cosiddetto Concilio degli Apostoli, in cui ci fu un dibattito enorme e molto duro. Ma che si concluse con una grande unità. (…) Credo che il ruolo del Santo Padre sia quello di essere il centro dell’unità», auspicando che si trovino «parole molto incoraggianti per aiutare i cattolici superare la tentazione del divorzio».