«Chiediamo a Letta più attenzione alla famiglia. Il nuovo Isee penalizza i nuclei numerosi»
Mario Sberna, deputato alla Camera per Lista Civica, ha scritto, insieme ad altri 12 parlamentari del suo partito, del Pd e del Pdl, al premier Enrico Letta per chiedere il ripristino della delega alla famiglia, incarico in passato già ricoperto dagli onorevoli Giovanardi, Bindi e, da ultimo, Riccardi. La delega, infatti, non è ancora stata predisposta dall’esecutivo. Delle ragioni che soggiaciono questa richiesta e delle emergenze che le famiglie, specie quelle numerose, stanno affrontando in questo periodo di crisi ecco cosa pensa Sberna che è già stato presidente dell’Associazione nazionale famiglie numerose.
Onorevole, la delega alla famiglia verrà ripristinata?
Me lo auguro; anche se, fino ad ora, il presidente del Consiglio Letta non ha ancora risposto alle nostre richieste di ricostituzione. Nessuna persona, infatti, è stata ancora individuata per ricoprire questo incarico così delicato.
Perché è importante avere una persona che nel governo si occupi, nello specifico, della famiglia?
Perché, come riconosce la Costituzione agli articoli 29, 30 e 31, la famiglia, «società naturale fondata sul matrimonio», è il cuore della società italiana, nonché il motore dello sviluppo economico del Paese. E la Repubblica ha il compito di agevolare «con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose».
Di che cosa dovrebbe occuparsi, dunque, il titolare della delega alla famiglia?
Anzitutto, dovrebbe essere l’interlocutore privilegiato per tutti coloro i quali, associazioni in primis, si occupano a vario titolo della famiglia. Poi dovrebbe occuparsi dell’attuazione del Piano nazionale per la famiglia. E, infine, mi scusi, ma il Forum delle associazioni familiari ha tre milioni e mezzo di persone associate; avranno ben il diritto di poter interloquire con qualcuno al governo oppure no?
In questo momento di crisi cosa chiedono le famiglie italiane alla politica?
Sicuramente che venga scongiurato l’aumento dell’Iva; sono state, infatti, le famiglie a pagare il prezzo maggiore per il primo aumento di un punto percentuale. Poi che si riduca la Tares, che grava più pesantemente sulle famiglie che hanno più di due figli. E, più in generale, che vengano abbassate le tasse rendendole più eque e progressive.
Il nuovo Isee, che regola l’accesso e gli sconti su servizi come, per esempio, gli asili comunali, le rette universitarie o le prestazioni socio sanitarie per persone con disabilità, è in questi giorni in via di definizione alla Camera e dovrebbe essere ispirato proprio a criteri di maggiore equità e proporzionalità.
Così lo presentano i giornali che ne tessono le lodi; ma io continuo a negare che sia uno strumento di perfezione assoluta.
Che cosa va e cosa no?
Sicuramente riesce ad arginare i tentativi di elusione fiscale messi in atto dalle coppie di fatto che decidono di separarsi soltanto agli occhi del Fisco per trarne un vantaggio indebito. Questo è indubbiamente positivo. La scala di equivalenza, che serve a calcolare il reddito Isee in base ai redditi, al patrimonio e al numero di componenti della famiglia, però, presenta incongruenze vergognose in particolare con riferimento al computo del terzo figlio.
Quali incongruenze?
Si tratta di tecnicalità, ma provo a spiegarlo con un esempio: per calcolare il reddito Isee di una famiglia – operazione che si può fare agevolmente presso qualsiasi centro di assistenza fiscale – occorre sommare ai redditi dei genitori, i beni mobili e immobili e dividere il tutto per la somma dei valori che la scala di equivalenza attribuisce a ciascun componente della famiglia: 1 al primo componente, 0,57 al secondo e così via. Il valore che si ottiene è il reddito Isee, in base al quale si stabilisce la possibilità o meno di godere di particolari agevolazioni. Bene, con il nuovo Isee, al terzo figlio è attribuito un valore di 0,39, mentre in Francia il valore è pari a 1. Ciò significa che per il terzo figlio, così come per il quarto e poi per il quinto, eccetera, è sistematicamente sottovalutato l’impatto che essi hanno sulle spese e i consumi, e quindi sull’erosione del reddito, della famiglia. Insomma, è come se i nostri figli, in particolare dal terzo in avanti, consumassero di meno degli altri. Mentre è universalmente riconosciuto che è proprio il terzo figlio quello che fa aumentare le spese di una famiglia.
E secondo lei cosa sarebbe meglio fare?
Sarebbe meglio introdurre correttivi più equi nel valutare l’aggravio maggiore dei consumi dei figli sul reddito familiare. L’aveva fatto il Quoziente Parma, ma è stato abolito.
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1 commento
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Tutto OK, ma nel coefficiente andrebbe considerata in maniera forte la provenienza della famiglia (nazione di provenienza, regione di provenienza se si tratta di “immigrati”), in modo da dare spazio prima agli autoctoni e poi agli ultimi arrivati.