San Francesco è meglio di Maradona

Di Davide Rondoni
04 Maggio 2025
Come diceva papa Francesco, «una Chiesa povera con i poveri» non significa favorire la miseria (della Chiesa e dei poveri). Lo sapeva bene il santo di Assisi: povero è chi ama tutto come non suo
Papa Francesco con Diego Armando Maradona (Foto Ansa)
Papa Francesco con Diego Armando Maradona (Foto Ansa)

Nulla è più anti-retorico del cristianesimo. Un evento storico, l’Incarnazione, che rompe ogni “discorso” su Dio, riducendo il nucleo della fede a una questione: Gesù di Nazareth è il volto buono del Mistero onnipotente o un buon uomo con idee a volte un po’ bizzarre?

Questa natura del cristianesimo lo rende refrattario alla retorica dolciastra che spesso lo circonda, retorica spesso alimentata dagli stessi cristiani. I motivi di questo assalto del “dolciastro” al cristianesimo sono molteplici, e non di rado interessati a ridurne la portata rivoluzionaria entro l’alveo di qualche retorica moralista di volta in volta serva dei potenti. In questo più che sommario quadro, a mio avviso, si inserisce quanto abbiamo ascoltato negli ultimi tempi in modo più insistente sul tema della povertà.

La battuta del teologo Maradona

Il sacrosanto richiamo (anche personalmente vissuto) di papa Francesco a una maggiore sobrietà e a una attenzione ai più miseri è stato spesso esaltato come una novità e quasi una sorta di liberazione. Di certo, il richiamo è stato forte e speriamo arrivi. In effetti, molti vescovi vivono in curie lussuose, in palazzi centrali delle città, sono cospicui proprietari immobiliari. Il nodo della questione lo ha sintetizzato un grande teologo argentino che risponde al nome di Diego Armando Maradona che, uscendo da un incontro con il Papa conterraneo, disse più o meno: ho sentito parlare molto a favore dei poveri, ho alzato gli occhi, c’era un tetto d’oro…

Al di là della battuta, nel momento in cui si confonde la povertà evangelica – Madonna Povertà sposa di Cristo e poi di san Francesco, come canta anche Dante – con la miseria, si incorre non solo in una retorica dolciastra, ma in una serie di paradossi. Come diceva papa Francesco, «una Chiesa povera con i poveri» non significa favorire la miseria (della Chiesa e dei poveri).

Particolare della tavola del Maestro di San Francesco raffigurante San Francesco stante fra due angeli, proveniente da Assisi ed esposta nella rassegna perugina
Particolare della tavola del Maestro di San Francesco raffigurante San Francesco stante fra due angeli

Gesù non era uno straccione

Il Papa non ha messo all’asta i capolavori dei Musei vaticani, mi pare. La miseria non è bella, e non è detto che avvicini a Dio. I poveri (di spirito e di condizioni di vita) sono prediletti da Gesù in quanto gli ultimi saranno i primi e la figura del reietto o del misero può avere fede più del ricco e del sistemato. Spesso la comodità spegne le domande reali, e la ricchezza può indurre a un senso stupido di onnipotenza. Ma Gesù non era uno straccione e non favoriva la miseria. Anzi, come san Francesco, la combatteva. San Francesco restituì i beni al padre per vivere “leggero”, non gli intimò di chiudere la bottega.

Occorre dunque distinguere bene tra quanto si intende per povertà e la miseria materiale o spirituale. Altrimenti la retorica del dolciastro può fare danni, non solo ispirando facili battute alla Maradona (quanti vescovi che sentiamo parlare continuamente di poveri vivono in lussuose curie e godono di privilegi), ma perché fa perdere di vista il nucleo della povertà. Che per Dante, addirittura, sale la croce con Cristo avvinghiata a lui, mentre Maria resta ai piedi del legno.

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La povertà autentica

Infatti la povertà è quella esperienza per cui si vive la vertigine, la leggerezza e il brivido di guardare anche ciò che si ama come non “mio”. Tutto, pure la mia stessa vita, non è mia proprietà. Il povero guarda il mondo con gli occhi di san Francesco nel Cantico delle creature, lodando Dio per le creature – tutte, anche sorella morte – come Sue e non nostre. Stringere i propri figli o la persona che ami sapendo che non sono tuoi, non sono nella tua disponibilità – ecco il brivido della povertà autentica. Molto più che privarsi di un po’ di quattrini.

La vertigine dinanzi all’“Altissimu”, la sobrietà materiale, la leggerezza di non accumulare beni possono certamente favorire tale sguardo. Non è detto che la miseria – che invece è condizione sociale o spirituale – conduca allo stesso sguardo, anzi spesso muove, come nei ricchi, a sentimenti e azioni di cupidigia.

Amare anche ciò che non possiedi

La riduzione “sociologica” (e dolciastra) del tema della povertà – tanto cara a chi spesso vuole una Chiesa ridotta a Ong, come accusava papa Francesco – può essere non solo un boomerang per la Chiesa e per il suo clero (chiamati dunque a spogliarsi sì, ma non nell’anima e non secondo la legge del mondo), ma anche e soprattutto ingenerare confusione a riguardo di un caposaldo della fede cristiana, ovvero la coscienza che tutto è di un Altro.

La povertà di san Francesco somiglia all’amore cantato dai poeti trovatori francesi, la terra di cui cantava lui stesso la lingua e da cui pare venisse la madre. In quei poeti che cantavano l’amore per donne irraggiungibili, andava in scena in modo mirabile la differenza tra amare e possedere. Problema non irrilevante nella cultura di oggi.

Il povero è colui che ama anche ciò che non possiede. La sua nobiltà, il cuor gentile, la santità in senso traslato, sta nel brivido che hai quando dai una carezza al volto amato e sai che non è tuo né a tua disposizione. Non a caso questo sguardo ha generato, dall’esperienza del Poverello di Assisi, un’esplosione di vita bella e fertile e lieta (laetus, da letame) fino a generare capolavori nell’arte, nella scienza, nell’economia. Rendendo il mondo meno misero.

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