La preghiera del mattino

Salario minimo, c’è da fare un lavoro di “ricostruzione” democratica e sociale

Di Lodovico Festa
17 Agosto 2023
Rassegna ragionata dal web su: l'irrituale ma giusto coinvolgimento del Cnel, i peronisti del M5s e i consigli di Sacconi
Renato Brunetta e Giorgia Meloni, 21 marzo 2013 (Ansa)
Renato Brunetta e Giorgia Meloni, 21 marzo 2013 (Ansa)

Sul Sussidiario Antonio Fanna scrive: «La strategia della Meloni è stata quella di mostrarsi aperta al confronto e di istituzionalizzare il problema. In assenza di una proposta propria, il Governo si è dato due mesi di tempo, cioè fino alla legge di bilancio, coinvolgendo il Cnel presieduto da Renato Brunetta, organo di rilievo costituzionale che ha il compito di esprimere pareri e promuovere iniziative legislative in materia economico-sociale. È un modo per guadagnare tempo ma anche per incardinare la discussione su una materia così ingarbugliata in un luogo istituzionale, dotato di una specifica competenza assegnatagli dalla Costituzione stessa, con la prospettiva di arrivare a un’ipotesi di riforma che coinvolga non solo l’opposizione, ma anche sindacati e datori di lavoro».

La mossa di Giorgia Meloni di aprire un tavolo con Pd, 5 stelle e Carlo Calenda sul “salario minimo” è intelligente anche se un po’ irrituale. Il confronto tra maggioranza e opposizione dovrebbe avere come sua sede naturale il Parlamento, ma negli ultimi trent’anni prima Mani pulite, poi Giorgio Napolitano e infine Beppe Grillo hanno svuotato l’istituzione centrale della Repubblica, delle sue funzioni, e quindi volendo diminuire le tensioni tocca affidarsi appunto a mosse parzialmente irrituali.

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Su Affari italiani Giuseppe Conte dice: «C’è stata una convergenza sulla nostra battaglia storica del salario minimo – riprende, passando al dialogo tra le forze di opposizione – e confido che, grazie ai cittadini, questa battaglia si rafforzerà e il governo comprenderà che è una soluzione necessaria. Confido in pari convergenza su tante altre battaglie che potremo combattere in futuro».

Il confronto avviato dalla Meloni non è facile perché l’opposizione è egemonizzata dai grillini con loro soluzioni centralistiche e statalistiche (reddito di cittadinanza, salario minimo propagandistico, decrescita felice, futuro senza “lavoro”) che secondo una classica impostazione peronista mirano a svuotare la ricchezza nazionale accumulata per rispondere demagogicamente al popolo: come si è visto con i governi Conte questa scelta politica, poi, implica anche un atteggiamento subalterno di fronte alle influenze esterne alle quali ci si affida per risolvere le questioni strategiche nazionali, preparandosi così un destino da pura espressione geografica.

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Su Formiche Maurizio Sacconi dice: «Ribadisco che non esiste se le opposizioni rimangono bloccate sulla cifra fissa. Il governo è naturalmente portato ad ascoltare la Cisl, la Ugl e tutte le organizzazioni di impresa, dai commercianti agli artigiani, ai coltivatori, agli industriali. Ovvero, potrebbe fare una norma per garantire il rispetto da parte di tutti i datori di lavoro dei trattamenti economici complessivi essenziali del contratto più applicato nel settore più prossimo all’impresa».

La linea suggerita da Sacconi è fondamentale: in una situazione di ampia disgregazione (istituzionale e popolare) il lavoro di “ricostruzione” democratica e sociale richiede non solo un’apertura alle opposizioni per smontare un clima da rissa, ma anche un costante confronto con i pur logorati corpi intermedi, sperando nel futuro di riportare a una qualche razionalità persino la Cgil.

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Su Open Alessandro D’Amato scrive: «Per me il lavoro non è un -ismo, è fatica, talento, capacità, reddito e benessere». Il Cnel guidato da Renato Brunetta si era già candidato a studiare l’intervento sul salario minimo. D’altro canto è il luogo di deposito della contrattazione collettiva e lì sono rappresentate le parti sociali. Qualche tempo fa lo stesso Brunetta ha presentato una memoria alla Commissione Lavoro della Camera con otto proposte sul salario minimo. Ovvero:
• La necessità di un profondo e significativo coinvolgimento e confronto con le parti sociali,
• Non limitarsi all’alternativa salario minimo per legge sì o no, ma affrontare, a monte, i problemi che ostacolano la crescita dei salari dei lavoratori, tra cui i ritardi nei rinnovi contrattuali aggravati dalla crescita del costo della vita e dall’elevato cuneo fiscale, dall’impatto della precarietà, del part-time involontario e del “lavoro povero”.
• Affrontare il nodo della bassa produttività.
• Intervenire sul dumping contrattuale che rischia di impattare negativamente sulla qualità della contrattazione collettiva.
• Contro i contratti pirata, far riferimento al trattamento economico come determinato dal Ccnl di riferimento.
• Intervenire sui bassi salari dal lato della riforma fiscale.
• Favorire un pieno sviluppo a tutti i livelli della contrattazione, al fine di rispondere in maniera strutturale, con soluzioni di medio e lungo periodo, alle criticità presentate.
• Indicare il Cnel come sede del National Productivity Board per l’Italia, previsto da una raccomandazione della Ue.
Inoltre viene proposto di rilanciare la connessione tra salari e andamento di impresa. Tra le forme di decontribuzione per le imprese si ipotizza di favorire le forme di partecipazione dei lavoratori, con una più forte legislazione fiscale di sostegno, a partire dalle soluzioni di profit sharing».

L’impostazione di Brunetta sulla “questione salariale” riassunta in questi punti è quella giusta, richiede però alle forze di governo, se vogliono aiutare le forze di opposizione meno demagogizzate e i corpi intermedi più responsabili, di contenere la competizione interna alla maggioranza, per presentare una visione programmatica coerente e un programma rapido ed efficace di interventi puntuali

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