
«Sì all’aumento dell’occupazione, ma senza gravare sulle aziende»
«Un piccolo imprenditore lecchese, che ha due piccole tipografie, quest’anno pagherà 30 mila euro di Imu. Mi ha detto: “È quanto mi sarebbe costato un nuovo dipendente. Non lo posso più assumere”. Se vogliamo investire sul capitale umano, dobbiamo capire che non si possono ricaricare tutte le spese del welfare sulle imprese. Se continuiamo a penalizzare le aziende italiane avremo sempre meno occupazione e con più rigidità». Raffaello Vignali (Pdl), vicepresidente della commissione Attività produttive della Camera, spiega così a tempi.it quali saranno le linee guida degli emendamenti che il Pdl vuole presentare alla riforma del lavoro, che è approdata in Senato: «Allargare a tutti i lavoratori i diritti, abbattere le differenze tra chi è già tutelato e chi non lo è ma lasciando flessibilità alle imprese, senza per questo guardare con sospetto agli imprenditori».
Sulle modifiche all’articolo 18, la Cgil chiede il reintegro per i licenziamenti per motivi economici. Il ministro Fornero ha replicato: «Il governo è disposto a miglioramenti, purché non ci siano arretramenti». È un modo per dire che apre alle idee del Pdl?
Non lo so, di sicuro noi condividiamo le preoccupazioni degli imprenditori, sia grandi che piccoli. Il problema vero non è tanto l’articolo 18, ma la rigidità che si crea con la riforma ai contratti in entrata. C’è il serio rischio che le imprese non rinnovino i contratti a tempo determinato e i co.co.pro. e che ci pensino su prima di assumere un nuovo dipendente. Il nostro mercato del lavoro è come un castello con mura molto alte: chi è dentro è ben protetto e chi è fuori non riesce ad accedere, ma se si stringe ulteriormente il portone di ingresso come si fa? In altri paesi, come in Inghilterra, c’è un’uscita larga, non esiste articolo 18 e se un’azienda decide di licenziare nessuno la ferma. Ma proprio perché c’è più mobilità, c’è anche più facilità ad accedere. Prendiamo ad esempio un’azienda artigiana italiana, che assume due apprendisti e uno se lo deve tenere per forza. E se poi non lavora bene che si fa? Inoltre, se basta un anno di lavoro per accedere a due anni di sussidi di disoccupazione, non si rischia di trasformare il farsi licenziare in un mestiere? Forse il sussidio andrebbe gradualizzato.
L’aumento dei costi del lavoro a tempo determinato nasce con l’intento di contrastare gli abusi esistenti dei contratti atipici “mascherati”.
Non sono d’accordo. Gli abusi non li si combatte con le norme, ma con i controlli. È chiaro che un lavoratore a Partita iva che presta servizio presso un solo committente ha un contratto subordinato mascherato. Io sarei d’accordo a far costare di più i contratti a tempo se non fossimo già un paese dove il costo del lavoro è in assoluto uno dei più alti d’Europa. Rincarare mi sembra eccessivo, visto il problema esistente del cuneo fiscale così pesante. In Germania il costo del lavoro è più o meno come da noi, ma al lavoratore in tasca va di più. Da noi, il 40-42 per cento della busta paga va in tasse. Semmai la soluzione può essere che lo Stato sposti le attuali voci in busta paga destinate alle tasse al sistema degli ammortizzatori sociali. Le imprese pagano già un prezzo salatissimo.
Perché il Pdl chiede la riduzione dell’intervallo per il rinnovo dei contratti a termine da 60-90 a 20-40 giorni?
La logica del Governo è scoraggiare l’assunzione a tempo determinato, aumentando l’intervallo tra un contratto e l’altro per favorire quella a tempo indeterminato. Ma siamo sicuri del risultato? Non credo: una persona che ha un contratto a tempo determinato potrebbe piuttosto finire ad aspettare più tempo prima di vedersi rinnovare il contratto o di essere assunto. Stiamo facendo il bene del lavoratore in questo modo? Per esperienza dico che un’impresa del manifatturiero che forma e investe su un bravo lavoratore non vuole sbarazzarsene, ma se l’imprenditore non può assumere per due o tre mesi tra un contratto e l’altro entra in difficoltà. Bisogna partire dal presupposto che il lavoro lo creano le imprese, non cresce per decreto, quindi bisogna studiare tutti i meccanismi perché chi è fuori dal mercato possa entrare con tutele adeguate, ma senza che questo cada come onere sulle imprese, che già subiscono troppe batoste.
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