Roth e il castigo senza delitto di Nemesi

Di Mattia Majerna
05 Ottobre 2011
A Newark si registrano annualmente, nel periodo estivo, degli isolati casi di poliomielite, ma nella torrida estate del '44 i contagi si moltiplicano. La comunità si trova a fronteggiare una vera epidemia in un clima di crescente allarme. Il giovane insegnante di ginnastica Bucky Cantor sarà coinvolto nella guerra interna contro la poliomielite.

Gli ultimi due romanzi di Philip Roth, uno dei più grandi scrittori americani viventi, avevano per titolo una malaugurata astrazione. La sua più recente fatica, Nemesi, non inverte la tendenza di titoli minacciosamente stringati e sviluppi tematici rigidamente consequenziali, offrendoci la storia di un castigo paradossalmente senza delitto.

Newark si registrano annualmente, nel periodo estivo, degli isolati casi di poliomielite, ma nella torrida estate del ’44 i contagi si moltiplicano. La comunità si trova a fronteggiare una vera epidemia in un clima di crescente allarme. Il protagonista è Bucky Cantor, il giovane insegnante di ginnastica della scuola locale e animatore del campo estivo di Newark. Bucky, scampato alla guerra di trincea a causa della sua miopia, sarà coinvolto nella guerra interna contro la poliomielite.

Nella seconda parte del romanzo assistiamo alla “diserzione” di Mr. Cantor con relativa fuga nelle Pocono Mountains, dove raggiungerà la sua promessa sposa in una colonia apparentemente protetta da un cordone sanitario di maestose montagne, ma il pericolo della polio è realmente scongiurato?

Prendete un angolo di arcadia americana, un classico locus amoenus, una soffice radura incorniciata da un folto di latifoglie. Immaginate il vostro idillio devastato come un presepe in fase di smontaggio e avrete un antipasto della crudele inclinazione di Roth a violare la dolce armonia pastorale.

Al ventisettesimo romanzo il pericolo di ripetersi è elevato, ma, come scriveva Borges, la replicazione di temi e immagini è uno scotto da pagare alla propria originalità e Roth può dire di averlo saldato. Non è nuova la sua avversione/attrazione per il mito pastorale da mandare in pezzi con gioioso autolesionismo, non è nuova la miscela di forza virile, temperanza e volitività di Mr. Cantor, non è nuovo il restyling di angosce kafkiane e kafkiano umorismo (una risata amara scappa al lettore quando il protagonista viene preso per la seconda volta per un agente della squadra di igiene), non è nuova la sua fissazione per i funerali e non è nuova la severità da fuga settecentesca dello sviluppo del tema. Ciononostante il romanzo resta un manufatto pregevole e riserva al lettore delle piacevoli sorprese.

Il titolo non identifica immediatamente la tematica centrale del racconto, la struggente perdita della virilità, la conversione delle elargizioni divine, come la salute e la forza fisica, nelle corrispettive maledizioni, ma inietta nella narrazione una velenosa inquietudine. La nemesi eponima assume la sua necessità esclusivamente nella prospettiva di paranoia religiosa del protagonista. Mr. Cantor uomo dalla coscienza ipersviluppata, non è capace di riconoscere la tragica contingenza degli eventi umani e spartisce il proprio ingiustificato senso di colpa per essersi allontanato da Newark con un Dio crudele e punitivo.

Per una volta la virilità, in Roth, non comprende la potenza sessuale (gli allarmismi, le elegie sulla propria impotenza non si contano nella sua fiction) e con discrezione commovente glissa sulla notte di amore en plein air tra Marcia e Bucky.

La scena finale comporta una retrocessione nel tempo della narrazione e, collateralmente, della Storia. Non siamo più su un terreno non edificato di Newark, ma in uno stadio della Grecia antica e Bucky, con il suo profilo fieramente numismatico, dà una dimostrazione della sua specialità sportiva, il lancio del giavellotto, davanti a un gruppo di ragazzini estatici. È una commemorazione della “saga della mascolinità” e una ripresa in sordina del tema della freccia avvelenata. Seguiamo la traiettoria discendente del giavellotto e il romanzo si conclude con una ripetizione al rallentatore della parola “mentre”, che pare sospendere la durata del lancio.

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