La riforma Nordio e qualche idea per ripristinare l’equilibrio tra i poteri

Di Giuseppe Gibilisco - Guido Piffer
20 Giugno 2025
Lettera in margine all’analisi di Guido Piffer apparsa nel numero di giugno di Tempi. Con «proposte dirompenti» per mettere fine allo scontro tra magistratura e politica
Costituzione della Repubblica italiana
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Egregio direttore, faccio seguito al mio commento al precedente articolo del dr. Guido Piffer per continuare un dibattito purtroppo a margine delle ormai troppo contrapposte posizioni di magistratura e politica, nella speranza che qualcuno, leggendo Tempi, abbia l’umiltà di porsi in discussione per cercare soluzioni di mediazione accettabili.

Per questo condivido la premessa con cui il dr. Piffer colloca il suo argomentare ma non posso esimermi dal ricordare, come già detto nel mio precedente intervento, che tutto nasce dalla rottura della situazione di equilibrio dei tre poteri nel 1992 consumata con l’inchiesta detta Tangentopoli e dalle conseguenze che la politica non seppe trarne. Non solo: la politica si piegò con timore da un lato al potere giudiziario e dall’altro al quarto potere dei media che si schierarono a fianco dei pm milanesi prima e del clima generale di caccia alle streghe poi (come non ricordare l’assalto a Bettino Craxi a Roma con il lancio di monetine, ad esempio?).

Ciò premesso, l’articolo in esame (“Riforma Nordio. L’ingiusta direzione”) prende in esame i passaggi della riforma Nordio nei punti che ritengo meritino una riflessione e cioè la separazione delle carriere, il duplice Csm ed il procedimento di formazione (sorteggio), la responsabilità dei magistrati e la costituzione di un’Alta Corte di giustizia.

Il dr. Piffer svolge alcune osservazioni che portano solo in parte a modificare la situazione attuale e se si possono condividere molte sue osservazioni il problema posto (rapporto tra poteri) rimane, così come a mio parere rimarrebbe con o senza molti passaggi delle riforma Nordio messi qui in discussione.

Mi permetto pertanto di porre il problema secondo una prospettiva diversa e cioè quella di un ricorso ai princìpi della nostra Costituzione così come emersi nella sua formulazione originaria.

Un primo punto di condivisione potrebbe esser quello di ripristino dell’art. 68 nella sua versione originaria, così riconoscendo che lo squilibrio tra i poteri è derivato dalla modifica introdotta sulla pressione generata dal clima del 1992. Un clima non è certo il modo attraverso cui si esercita la sovranità che appartiene al popolo (art. 1 della Costituzione).

Il secondo aspetto di riequilibrio sta nella necessità di difendere uno degli strumenti fondamentali di partecipazione e cioè i partiti politici (art. 49 della Costituzione). Una delle conseguenze dello squilibrio tra i poteri dopo la riforma dell’art. 68 è costituita infatti dall’attacco allo strumento del partito politico, non solo rimasto senza protezione alcuna dagli attacchi sempre più violenti, ma addirittura privato della possibilità di un finanziamento pubblico, lasciato alla buona volontà di pochi, come se i partiti fossero delle associazioni nella migliore delle ipotesi di natura culturale.

Direte che tutto ciò è accaduto quantomeno a causa dell’inerzia della politica, vero, ma anche perché è mancata un’educazione alla vita sociale comune, anzi questa è sta demonizzata, a favore di un individualismo egoista che ha trovato terreno politico fertile in parte della Lega e soprattutto nella predicazione di Beppe Grillo che ha portato al riconoscimento di tale posizione nel “movimento”, ora partito, “cinque stelle”. Ma questo è un altro capitolo, ritorniamo alla riforma Nordio.

La strada maestra, giustamente criticata nell’articolo di Piffer, è la separazione tra magistratura inquirente e magistratura giudicante, separazione che comporta di conseguenza lo sdoppiamento del Csm, con i due nuovi Csm che però manterrebbero la stessa attuale numerica composizione – la maggioranza di due terzi rimarrebbe cioè in capo al potere giudiziario. L’introduzione di un controllore formato in maggioranza da controllati non risolve il problema ed ecco perché si è costretti a introdurre sia la nomina per sorteggio sia l’Alta Corte.

Se da un lato si condividono le osservazioni del dr. Piffer, dall’altro occorre a mio parere introdurre una semplice novità in Costituzione, che novità non è in quanto è conforme alla originaria proposta e discussione della norma costituzionale confluita nell’art. 104 della Carta.

Il testo proposto originariamente dai 75 all’assemblea è contenuto nell’art. 97 in cui, subito dopo aver affermato che «la magistratura costituisce un ordine autonomo ed indipendente», è indicata la composizione del Consiglio superiore della magistratura, «presieduto dal presidente della Repubblica» e «composto del primo presidente della Corte di cassazione, vicepresidente, di un altro vicepresidente nominato dall’Assemblea nazionale [ora il Parlamento, ndr] e di membri designati per sette anni, METÀ da tutti i magistrati fra gli appartenenti alle diverse categorie, METÀ dall’Assemblea nazionale fuori del proprio seno».

La versione attuale venne introdotta mediante approvazione da parte dell’assemblea dell’emendamento presentato dal costituente magistrato Oscar Luigi Scalfaro, che, a mio parere solo grazie all’appartenenza alla Democrazia cristiana, ottenne la modifica della composizione numerica del Csm.

Ora, se si condividono le preoccupazioni del dr. Piffer perché non introdurre, in alternativa alla separazione delle carriere, nel profilo costituzionale il ripristino dell’originario art. 68, così come voluto dai padri costituenti, rivedendo ed evidenziando il ruolo dei partiti, dando loro la possibilità di svolgere la loro funzione costituzionale senza dover chiedere l’elemosina, e perché non modificare l’art. 104 prevedendo che metà dei componenti del Csm siano magistrati e metà eletti dal Parlamento, secondo l’originaria proposta della norma?

Forse in questo modo si restituirebbe quell’equilibrio messo in grave crisi dal 1992 in poi e rimarrebbe, per riprendere l’articolo del dr. Piffer, il problema giustamente osservato dell’elezione dei magistrati, e forse non sarebbe più nemmeno necessaria l’Alta Corte di giustizia.

Sul punto della responsabilità dei magistrati si potrebbe infatti rivedere il principio della cosiddetta responsabilità indiretta prevedendo, come per qualsiasi altro dipendente di un pubblico potere, l’avvio dell’azione di responsabilità diretta presso la Corte dei conti, organo anch’esso costituzionalmente previsto a tale funzione, con i passaggi preliminari in via istruttoria da parte del Csm come sopra riformato.

Capisco che queste mie osservazioni e proposte possono essere non condivise perché a mio parere ancor più dirompenti nel rapporto tra politica e magistratura, ma il mio è un tentativo di ragionare secondo i princìpi che i padri costituenti hanno cercato di introdurre.

Grazie per l’attenzione
Giuseppe Gibilisco

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