«La Resistenza non può rimanere patrimonio unico della sinistra»

Di Giuseppe Beltrame
17 Maggio 2025
Dal primo Dopoguerra intellettuali e Anpi hanno esaltato quasi soltanto l'azione dei garibaldini, dimenticando internati, civili, Corpo italiano di liberazione e alleati. Parla Roberto Volpetti (Associazione partigiani Osoppo-Friuli)
foto Ansa
(foto Ansa)

«La Resistenza non può rimanere un patrimonio unico dei partigiani», dice a Tempi Roberto Volpetti, presidente dell’Associazione partigiani Osoppo-Friuli (Apo), la formazione di matrice prevalentemente cattolica e militare di cui facevano parte anche i 18 patrioti uccisi nel febbraio del 1945 nell’eccidio di Porzûs e del Bosco Romagno.

La “politica” partigiana

È il 29 aprile e siamo a San Giorgio di Nogaro, cittadina portuale a pochi chilometri dalla laguna di Marano, in provincia di Udine, per la cerimonia in memoria delle 26 vittime civili causate da un ordigno inesploso, detonato improvvisamente il 2 maggio del 1945 nel centro del paese e di cui ricorre in questi giorni l’ottantesimo anniversario. A seguire si ricorda il partigiano osovano Giuseppe Cianino, ucciso brutalmente dai tedeschi il 29 aprile 1945 e da poco insignito della Medaglia d’oro al Valor militare alla memoria.

Il sindaco e subito dopo lo stesso Volpetti intervengono con parole sobrie e attinenti ai fatti storici, prende poi la parola un consigliere nazionale dell’Associazione nazionale partigiani italiana (Anpi). Dopo i consueti ringraziamenti alle istituzioni, il delegato vira deciso sull’attualità, chiede che venga istituito «lo Ius soli, come già ci insegnavano duemila anni or sono i Romani», e poi ancora attacca «il tentativo di mettere in discussione l’attuale sistema giurisdizionale», bollato come «maldestro tentativo di riscrivere la Costituzione», chiudendo poi con l’allarme per «i rigurgiti nazifascisti presenti in tanti stati europei» e per «i tentativi in atto di riscrivere la storia». L’oratore in poche frasi snocciola tutti i temi cari alla sinistra parlamentare.

La commemorazione in onore del partigiano osovano Giuseppe Cianino, trucidato dai nazisti il 29 aprile 1945. Roberto Volpetti,  presidente dell'Apo, è il secondo da destra, San Giorgio di Nogaro (Ud), 3 maggio 2025 (foto Tempi)
La commemorazione in onore del partigiano osovano Giuseppe Cianino, trucidato dai nazisti il 29 aprile 1945. Roberto Volpetti, presidente dell’Apo, è il secondo da destra, San Giorgio di Nogaro (Ud), 3 maggio 2025 (foto Tempi)

La “festa dei partigiani”

«Fanno sempre politica», ci dice con un sospiro Volpetti. Non a caso nell’immaginario popolare la Resistenza rimane patrimonio unico di una certa fazione partitica italiana. «Il 25 aprile e più in generale la narrazione della Guerra di Liberazione dovrebbero ricordare tutte le modalità di Resistenza che animarono quegli anni, collocandosi al di fuori di un contesto unicamente politico, altrimenti la celebrazione rimarrà sempre e solamente la “festa dei partigiani”. Poi è ulteriormente divisivo questa sorta di “antifascismo militante”, che allarma di continuo riguardo un imminente ritorno del Ventennio e che io personalmente non vedo».

Oltre alla Resistenza partigiana, infatti, composta di Brigate Garibaldi, Giustizia e Libertà e gruppi autonomi come la Osoppo – che avevano peraltro ampie differenze di orientamento e modalità d’azione –, dopo l’8 settembre si delinearono diverse forme di opposizione ai nazifascisti che si rivelarono fondamentali nella lotta contro l’invasore. I primi furono i militari che dopo l’Armistizio reagirono all’occupazione dei tedeschi, negli scontri che portarono all’eccidio di Cefalonia e ai fatti di Porta San Paolo. A seguire poi si contarono 600-700mila internati militari che si rifiutarono di entrare tra le fila dei repubblichini e per questo furono in gran parte arrestati e deportati nei campi di prigionia o di lavoro. Settantamila non tornarono mai a casa, subendo ogni tipo di privazione e umiliazione.

A questi si aggiungono gli effettivi del Corpo italiano di liberazione (Cil), poi divenuti Gruppi di combattimento, costituiti dai soldati italiani rimasti fedeli al Re, che «cobelligerarono» al fianco degli Alleati a partire dal dicembre del 1943, con un organico che raggiunse i 25mila uomini. Furono poi moltissimi i civili che, pur non prendendo in mano le armi, si impegnarono attivamente nella Resistenza, soccorrendo i soldati alleati e i partigiani.

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Memoria a senso unico

«La vita di un soldato del Cil caduto al fronte contro i tedeschi vale quanto quella di un partigiano – prosegue Volpetti – entrambi sono morti per la difendere l’Italia. Non dimentichiamoci, poi, che la guerra di Liberazione non sarebbe mai stata possibile senza l’azione degli Alleati, che lasciarono 60mila caduti sul suolo italiano, oltre a finanziare e rifornire di armi e vettovaglie le brigate. Del resto l’esaltazione dei partigiani a scapito dei combattenti delle altre forme di Resistenza iniziò già nel primo Dopoguerra, anche per una precisa volontà politica. In questo contesto l’Anpi negli anni ha promosso con pubblicazioni e ricerche storiche quasi solamente la memoria dei garibaldini, composte in prevalenza da uomini vicini al Partito comunista italiano, a scapito della multiformità di formazioni partigiane di quel periodo».

Le malghe di Porzûs in una foto d'epoca
Le malghe di Porzûs in una foto d’epoca (archivio Associazione partigiani Osoppo Friuli)
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La Brigata Osoppo-Friuli

La Brigata Osoppo-Friuli fu una di queste. Nata alla fine del 1943, i suoi componenti, per lo più ex militari, si distinguevano per il cappello alpino e il fazzoletto verde al collo. La formazione, sostenuta da molti sacerdoti della Diocesi di Udine e dallo stesso arcivescovo cittadino Giuseppe Nogara, si ispirava a «ideali laici, liberali e cattolici». Tra le fila osovane c’era anche Paola Del Din, la 101enne unica Medaglia d’oro al valor militare della Resistenza ancora in vita e prima paracadutista italiana della Seconda guerra mondiale, celebrata solo pochi giorni fa da re Carlo d’Inghilterra nel suo storico discorso a Camere riunite (qui la sua intervista a Tempi).

Il Castello Ceconi a Pielungo, in Val d'Arzino (Pn), per alcuni mesi sede del comando di montagna della Brigata Osoppo
Il Castello Ceconi a Pielungo, in Val d’Arzino (Pn), per alcuni mesi sede del comando di montagna della Brigata Osoppo

«A differenza di molti garibaldini, animati da logiche politiche e rivoluzionarie – spiega Volpetti – gli osovani evitarono azioni terroristiche che avrebbero portato a inevitabili rappresaglie sulla popolazione. Intervennero per lo più minacciando le infrastrutture strategiche per i tedeschi, sottraendo materiale o armi e collaborando spesso nelle loro azioni con gli Alleati».

Gli inglesi in Friuli ad esempio inviarono istruttori esperti in esplosivi che insegnarono ai partigiani ad usare il plastico per far saltare la Ferrovia Pontebbana, tra Udine e Tarvisio, fondamentale via di comunicazione durante la guerra. I nazisti furono così costretti a posizionare un militare ogni 150 metri per evitare attacchi alla linea, un’azione che nei numeri valse più di molti attacchi terroristici. «Gli osovani del resto hanno sempre combattuto per difendere le proprie famiglie e le proprie case – chiude Volpetti – in una sorta di autodifesa volontaria di un popolo, come ha sempre sostenuto il loro motto “Pai nestris fogolârs” (per i nostri focolari). Non avevano a cuore altro che il bene della loro patria».

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