Renato Farina: Te Deum laudamus per gli amici scoperti a sessant’anni
Pubblichiamo qui il “Te Deum” di Renato Farina.
Vorrei rendere grazie a Dio per gli amici. A sessant’anni ho scoperto chi essi sono, da dove vengono, di chi sono, perché sono così importanti. Non ho compreso del tutto, spero di sperimentarlo e capirlo ancora meglio a settanta e ancora di più a ottanta anni.
Ai bambini, alle elementari, si dà il tema “il mio migliore amico”; ricordo ancora l’emozione per il film Amici per la pelle. E c’era dentro l’essenziale nel tema e in quella pellicola. Il fatto che si darebbe la vita per l’altro, che con l’amico la vita è più calda, il gioco è più bello, il dolore non è mai disperato. Ma fino ad ora avevo sempre pensato che ero io a voler bene, a dare la vita, anzi a dover dare la vita. Invece per la prima volta ho visto che l’amicizia è quella di un altro.
La sorpresa dell’amicizia è scoprire che un altro sta dando la vita per te. E questa persona – l’amico – agisce, anche quando non ne è pienamente consapevole, come segno di un Altro che non ci lascia soli, ci tormenta, rompe anche un po’ le scatole, ma è disposto a caricarsi tutti i nostri pesi per farci essere veri e felici.
Per discrezione non farò nomi. L’ultimo caso è stato l’altro giorno. Mi pareva di essere naufrago, abbandonato da quelli che Solov’ev chiamava «i vostri fratelli e capi», mi parevano tutti presi dalle loro obbedienze a compiti altissimi, ma incapaci di curarsi del gregge, di cui «non conoscono l’odore» (papa Francesco), o almeno del mio odore non ne vogliono sapere. Ed ecco che suona inaspettato al citofono un amico. Non si era annunciato, mi trova per caso. Chi l’ha mandato? Non l’ha mandato nessuno. Gli sono venuto in mente improvvisamente, ha preso i suoi scartafacci, e da un altro paese ha pensato di vedere se ero in casa. Ha avuto cura di me. Non ero io anzitutto l’amico. Era lui, era il Samaritano. Ero io il suo prossimo. Era figura reale del Destino.
Ricordo con lui improvvisamente che quella stessa persona quarantaquattro anni e sei mesi prima mi aveva accompagnato a casa, io a piedi e lui in motorino, gli interessavo io, desiderava potessi condividere con lui un altro amico, che da ragazzi non si ha vergogna a chiamare «un amico grande grande», Gesù Cristo. Erano un gruppo di ragazzi che stavano insieme. Uscì dal gruppo, mi cercò. Mi è tornato in mente che cucinai, da ragazzino, piselli e prosciutto per lui. Era lui a venire da me, come amico. L’amico ti cerca. Esce dalle sue mura, viene incontro.
Ed ancora, da un’altra nazione, mi viene incontro con un sms (Te Deum anche per gli sms, qualche volta) e dice una verità immensa, a me che sentivo il peso e un po’ cercavo, quasi mi crogiolavo nel lamento di cui sopra. Me ne ha dette di tutti i colori. Non mi ha risparmiato niente. Poi l’sms: «Gius ti sta seguendo passo passo, minuto per minuto. Non devi temere niente». Gius sta per don Giussani, amico realissimo nella comunione dei santi, che ora si fa vivo tramite lui, bussa, manda sms. L’amico è così. Ti aiuta a guardare la realtà nella sua profondità e nella sua estensione. Corregge. Ma anche se hai le mani sporche di sangue, l’amico ti entra in casa, ti rimprovera e ti abbraccia.
Non dimenticate l’ospitalità
Io dico grazie, intono il Te Deum, non perché lo scopro come dovere, ma perché mi è stato donato.
Thornton Wilder nel meraviglioso romanzo Theophilus North (me lo consigliò Hans Urs von Balthasar) descrive la corona perfetta dell’amicizia, la sua costellazione ideale. Essa consiste nell’avere tre amici dello stesso sesso di pari età, tre più grandi, tre più piccoli, così tre più tre più tre nell’altro sesso (escludendo mogli, mariti o fidanzati). Guarda un po’, ne ho contati anch’io per me diciotto quest’anno. Uomini e donne che scoccano frecce e che tessono così la Gerusalemme celeste in terra, un altro mondo in questo mondo. Non per nostro esclusivo godimento, ma per gli altri, abbattendo i bastioni, per andare al largo, nel vasto mondo.
Nove più nove. O forse nove per nove, o magari nove alla nona potenza. Amici e amiche sconosciuti o inaspettati che pregano per te e soffrono per te, e quando ti vedono timidamente fanno presente che hanno offerto per te le loro fatiche. E queste loro frecce amorose e amiche le raccogli e tu stesso li imiti, ti fai amico dell’altro, bisognoso come te. E che cosa fantastica scoprire che tu nella sua casa sei stato come un angelo. Annunciatore dell’unico grande Amico che ti aveva già invitato a casa sua. Così come è scritto nella lettera agli Ebrei: «Non dimenticate l’ospitalità; e alcuni praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo». Angeli amici. Te Deum laudamus.
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1 commento
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Grazie , Te deus laudamus per gli amici. Aggiungo anche per quelli che ci hanno lasciato.
“Occhi di cielo” posti sul nostro cammino affinchè non si perda nel la strada nè il desiderio di percorrerLa.
Ci siamo incontrati una volta a Varese, mi piacerebbe reincontrarti