Referendum Milano, Masseroli: «Ecco cosa hanno nascosto ai cittadini»

Di Chiara Rizzo
14 Giugno 2011
L'ex assessore allo Sviluppo del territorio del Comune di Milano sulla vittoria del sì ai cinque referendum meneghini. «I temi proposti dai quesiti sono tutti desiderabili. Ma non si è pensato a come sostenere economicamente i progetti, che ora rischiano di pesare sulle tasche dei milanesi, e di far saltare i progetti di social housing»

Carlo Masseroli, da ex assessore allo Sviluppo del territorio di Milano, come legge la vittoria del sì ai cinque referendum di Milano?
I cinque referendum sono stati proposti dall’opposizione, quando stavamo governando noi. Adesso che sono stati approvati diventano una linea di guida per la nuova città. I titoli dei referendum toccano temi che sono tutti desiderabili: dal miglioramento del traffico all’aumento del verde, al miglioramento energetico. Ma sono anche proposte insostenibili economicamente solo a fronte del bilancio comunale, quindi peseranno sulle tasche dei cittadini. Oltretutto il limite del verde, cioè del 50 per cento di aree verdi sui progetti, impedirà di investire sull’edilizia residenziale per abbassarne i prezzi. Il social housing era invece centrale per i progetti di edilizia residenziale nel Pgt che da assessore ho presentato, adesso non sarà possibile.

Eppure ci sono anche progetti di edilizia residenziale a Milano già avviati da tempo, per esempio Garibaldi-Porta nuova, che però non hanno visto affatto diminuire i prezzi del residenziale. I costi delle case in quelle aree anzi sono lievitati. Cosa dice?
Poniamo il caso di Garibaldi-Porta nuova, o City Life, o Milano Santa Giulia: sono tutti progetti di riqualificazione nati anni fa con lo scopo di rimettere in moto il territorio milanese. Ma proprio con il Pgt in quelle stesse aree abbiamo avviato i progetti di 30 mila alloggi di housing sociale. Progetti che con il vincolo del 50 per cento del verde obbligatorio introdotto dai referendum di oggi non sarebbero più sostenibili per il costruttore. Il Pgt aveva puntualmente verificato, zona per zona, dove si potessero fare parchi più grandi del 50 per cento dell’area, come è avvenuto con l’area dell’ex scalo Farini, e dove si dovessero fare parchi più piccoli, garantendo comunque un totale di 3 milioni di metri quadri di verde. Un area parco rappresenta un interesse pubblico, e quindi un costo che il privato sostiene come contributo all’interesse sociale. Allo stesso modo, però, anche l’housing sociale è un contributo del costruttore privato all’interesse pubblico: noi imponiamo al privato a fronte della possibilità di fare l’intervento di costuire aree verdi e aree per l’housing sociale. Oggi privilegiando in modo forte il verde, non si potrà fare altro per il sociale.

E perché i milanesi hanno scelto di privilegiare il verde all’edilizia sociale?
La vera domanda per me è un’altra. Il tema è che i referendum danno indicazioni desiderabili, ma non le uniche possibili, per il progresso delle città. In questo modo i referendum diventano un problema. Mi spiego meglio. Supponiamo che io vada da mia moglie e dai miei figli e chieda loro se vogliono che acquisti una bella casa al mare, per andarci ogni fine settimana. Posta così la domanda, cosa mi risponderanno? Ovviamente saranno tutti felici. Ma supponiamo che io nel porre la domanda, abbia dimenticato di aggiungere che la casa al mare possiamo comprarla solo decidendo di mangiare un giorno sì o uno no. Se aggiungessi questa informazione alla domanda, mi risponderebbero comunque di sì con entusiasmo?

Eppure c’è stata un’affluenza del 49 per cento, con una vittoria dei sì del 95 per cento. Come se le spiega allora, con un caso di plagio collettivo?
No, plagio è una parola che non userei. Davvero secondo me i referendum milanesi hanno goduto dell’effetto traino, e sono stati scritti in modo furbo. Secondo me lo strumento del referendum democratico è inadeguato per trattare temi di livello amministrativo, dietro i quali si nascondono numerosi altri temi e calcoli precisi di sostenibilità di un progetto. Solo i prossimi mesi potranno mettere in evidenza se queste scelte saranno davvero sostenibili da parte di chi governa. Io temo che non lo saranno e che rappresenteranno un aumento della spesa per le tasche dei cittadini. Mi chiede perché i milanesi hanno votato sì: perché secondo me non erano a conoscenza delle conseguenze di ciò che votavano. C’è anche un ultimo tema che mette in rilievo questo voto. Quello che è accaduto dà un segnale forte alla politica, tutta, non solo di destra o di sinistra: a tutta la rappresentatività della politica. Noi siamo poco capaci di essere punti di riferimento della città, per ciò che sono le esigenze prime dei cittadini. Questo voto è anche – lo dico senza fare drammi, né minimizzando – una messa in discussione della politica.

Ed è una messa in discussione anche di Carlo Masseroli e del suo Pgt?
No, non c’è nessuna bocciatura del mio Pgt, che ha trattato gli stessi temi ma dal punto di vista della sostenibilità economica. Ripeto: leggendo i quesiti per come sono posti nel referendum, non si poteva essere contrari. Anche io sono d’accordo con quei quesiti. Ma, ripeto, non è stato fatto comprendere bene al cittadino come poi si potranno mettere in atto queste linee. Per me adesso si apre una sfida, con una concezione della politica e dell’amministrazione locale non banale. Come farà la sinistra a mettere in atto le cose che hanno chiesto ai cittadini quando non governavano e a cui i cittadini hanno detto sì? Io non credo che ci siano proposte altrettanto sostenibili economicamente al Pgt. Però mi metto a disposizione, nel mio nuovo ruolo. La palla adesso è tornata al centro: la scelta dei milanesi è stata chiara.

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