Politica 2014. Proposta di una nuova legge elettorale. Affrontando i criteri d’elezione dei nuovi parlamentari, si prevedrebbe la clausola che “nessuno dei due sessi possa essere rappresentato in misura superiore al 50% in ciascuna lista e che nelle candidature di collegio debbano alternarsi rappresentanti dei due sessi”. Parità dunque assoluta fra deputati femminili e maschili. Ora, vista l’aria che tira, si profilano tempi duri per chi – e sono in tanti – non ha ben deciso da che parte stare. Cosa accadrebbe se un parlamentare – poniamo si tratti di un uomo – decidesse di voler abbandonare la cravatta d’ordinanza per il reggiseno di contegno? Cambiare sesso a metà legislatura diverrebbe un problema di portata costituzionale. Se l’indeciso non vorrà essere subito usato dall’opposizione come capro espiatorio d’una caduta di governo, dovrà ingegnarsi a trovare in fretta un’altrettanto confusa onorevole che voglia anche lei scambiarsi di posto… anche lei alle prese con la scelta controversa tra il tenersi stretta la gonna o la poltrona.
La questione delle quote rosa investe il mondo della politica, dopo aver già travolto la sfera delle aziende. Già da quasi due anni è infatti in vigore la legge Golfo-Mosca che prevede l’obbligo di presenza di almeno il 33% di donne negli organi sociali delle aziende quotate e pubbliche entro il 2022. Lo scopo è evidentemente rendere più agevole l’ingresso del gentil sesso ai vertici.
Mi son chiesta cosa ha ostacolato finora l’avanzare delle donne: il pregiudizio maschile (tesi che va per la maggiore), o piuttosto la loro diversa disponibilità ad accettare incarichi che comportino determinati impegni? Non sottovaluterei il secondo aspetto. Per ricoprire certi incarichi – a parità di meriti – occorre infatti sacrificare una quota assai massiccia di tempo a vita e famiglia; e le donne spesso hanno altre priorità. E da un punto di vista sociale, non a torto.
Il rischio, inoltre, è che il messaggio del provvedimento possa ritorcersi come un boomerang: fissando per statuto un minimo di presenze femminili nel CDA, il segnale che potrebbe passare è che le donne da sole non ce la fanno a raggiungerlo; hanno bisogno di scialuppe che agevolino la loro salita a bordo. Queste misure – apparentemente protettive – rischiano di rafforzare sulle donne lo stereotipo di esseri – di per sé – insufficienti a farcela. Non sarebbe allora meglio fare scelte esclusivamente su meriti e competenze, senza fissare a priori una quota di poltrone in base al sesso?
Rammento quando abbiamo cambiato casa ed eravamo circondati da pile di scatoloni: mio marito, armato giusto di un pugno di abiti da lavoro, reclamava metà dell’armadio guardaroba del corridoio tutto per sé: “Parliamone amore” gli ho risposto “capiamo prima come lo riempiresti. Quanto a me, ho un certo numero d’idee favolose!”. Certo, i cervelli delle donne non sono una collezione di twin-set, ma usare l’integratore del criterio sessista per rafforzare le difese del potere femminile potrebbe avere spiacevoli effetti collaterali.
Poniamo infatti che una seggiola rosa creata appositamente per legge non trovi (o non voglia trovare) una candidata idonea che la occupi. C’è il rischio che lo scranno resti vuoto? Macchè. Con buone probabilità ci sarà una figlia-di-papà o una moglie-amante pronta ad accaparrasi la poltrona libera. Nell’ultimo caso peraltro, la candidata, ben equipaggiata quanto a competenze e disponibilità, avrà garantita una posizione inespugnabile.
E per le donne – come la sottoscritta del resto – che per scelta o per forza, non sono toccate dai giochi di potere ad alto livello? Di questo passo, dovremo attendere con pazienza l’introduzione delle quote azzurre a capo dell’azienda famiglia; che metà dei tradizionali lavori di casa siano destinati ad abili e validi maschi: stiro-cucino-ramazzo-sparecchio…
Senza dimenticare il rammendo: un’ottima opportunità per il sesso forte di dimostrare talento nella stanza dei bottoni. …Salvo poi non scoprano che proprio questa è la parte migliore.