Come andò quella volta in cui osai criticare Maurizio Costanzo

Bastò scrivere un trafiletto su un giornale per attirare le sue ire. Nella stucchevole beatificazione di questi giorni del giornalista iscritto alla P2, un contrappunto

Maurizio Costanzo durante una puntata del Maurizio Costanzo Show, Teatro Parioli, Roma, 26 aprile 2022 (Ansa)

Passati i giorni del lutto, dei peana, della retorica nazionale, ora un minimo racconto.

Osai criticare Maurizio Costanzo, nel 2006, in un articolo sul Tempo di Roma, ritenendo che la laurea ad honorem in giornalismo, che gli stavano dando in quei giorni presso lo Iulm di Milano, era errata. Uno che affiancava in uno show di chiacchiere i malati e i buffoni, i magistrati e i calciatori e le soubrette, non mi pareva un gran esempio di giornalismo, ma di tanto sapiente quanto astuta manipolazione delle storie.

Era un trafiletto, poco più, a firma di un semisconosciuto poeta. E lui scrisse al direttore di quel giornale una lettera di reprimenda dal tono tipo “come osate, come osa quel Rondoni”. E il direttore scrisse un articolo in cui si dissociava dal mio articolo. Questa la mia esperienza del potere mediatico di Costanzo.

Non mi stupisce il peana acritico di oggi. A quel potere (Costanzo era iscritto alla P2 e, prima che si scoprisse, intervistava allegramente Licio Gelli sul Corsera fingendo di non conoscerlo, gran giornalismo anche quello) oggi come ieri in molti nei media e nello show business si inchinano – per convinzione o convenienza, niente letterine eh? per gratitudine – e quanti soldi sono girati…

La letterina al direttore

La triste farsa dei selfie alla camera ardente a cui è stata (si è) sottoposta la vedova Maria De Filippi, ormai Costanza della tv e dei suoi business, assicurati da Piersilvio Berlusconi, e la sigletta della trasmissione come uscita del funerale diviene metafora di una idea di vita che coincide con un prodotto televisivo.

Ma ecco uno stralcio illuminante, a tal proposito, della sua gentile letterina al direttore, dopo l’uscita del mio pezzullo su una pagina letteraria denominata “l’Orlando Curioso”:

«Vorrei aggiungere che sono felice di essere accomunato a Valentino e a Vasco Rossi essendo questi personaggi popolari e quindi di qualche utilità per i nostri connazionali. Di utilità non ne ha alcuna Orlando Curioso, nome mutuato non dalla letteratura ma dalla pubblicità (Delfino curioso eccetera). Detto ciò, mi sembra rubare spazio per ricordare qual è la mia storia professionale. Ma non m’interessa né tanto né poco conoscere quella del suddetto Rondoni. E poi, come si usa dire: un rondoni non fa primavera. A chiusura, nel ringraziare per l’ospitalità, cito Ennio Flaiano: “Fra trent’anni l’Italia non sarà come l’hanno fatta i governi ma come l’avrà fatta la televisione”. Meno male. Maurizio Costanzo».

Trombone stonato

Ovviamente Flaiano diceva con amaro sarcasmo quella frase. E invece «meno male», chiosava il nostro “popolare” e quindi “utile” “giornalista”. A parte notare lo stizzito tono del trombone, colpisce la sicumera del vincitore. Di quello che ritiene utile il popolare in quanto tale, e siccome il popolare lo crea la tv… ergo… “Noi siamo il potere, noi siamo i veramente utili…” insomma diceva tronfietto e un po’ ridicolo.

Peccato che per ottenere la direzione di un giornale si era messo in ginocchio davanti al gran maestro della P2. C’è una cosa più fastidiosa dei tromboni. I tromboni stonati per ipocrisia.

Ora, come ogni defunto, merita rispetto, ma non meritiamo noi la stucchevole beatificazione della società dello spettacolo, strumento del potere, che vuole ri-crearci a propria immagine e somiglianza. Non ci crea la tv, e meno male.

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