
Quel granello di polevere che ancora inchioda a un vecchio film di don Camillo
«Non esiste un solo granello di polvere, in cui non sia presente Dio». Dal film Il compagno don Camillo, passato l’altra sera, forse per la centesima volta, in tv. Ma, per la centesima volta, arrivati per caso su quel canale ci siamo fermati lì. Ancora a farci raccontare le storie di don Camillo e Peppone. Come una boccata di aria fresca, quel paese padano in bianco e nero, quella gente vestita da dopoguerra, coi cappotti rivoltati e le scarpe grosse ai piedi. Quelle facce non belle e anzi sgraziate, nasi grossi, rughe, mani come badili; il contrario dell’imperativo estetico d’oggi – tratti efebici, anoressici, di compiaciuta ambiguità.
Non sappiamo se quell’Italia sia esistita davvero, là sulle rive del Po, o se sia stata – nell’Emilia da poco uscita dalle vendette partigiane – il sogno di Guareschi. Ma, cronaca o sogno che fosse, più passa il tempo più quelle storie appaiono splendenti di una bellezza che si resta, ancora, a guardare. è il parlare quotidiano di don Camillo col Crocefisso: un continuo, domestico dialogo su ogni cosa, come se niente, delle più banali giornate, fosse estraneo a Cristo, come se tutto meritasse di essere messo davanti a lui. Come se non esistesse quella separazione cui siamo abituati, fra realtà quotidiana e una fede da tenere da parte, in un angolo, e da mostrare solo, come un vestito buono, nelle ore e nei luoghi convenuti. In quel dopoguerra in cui si andava allargando fra i cattolici il moralismo, il mettere da parte Cristo per regole e ‘valori’, Guareschi con don Camillo mostrava che essere cristiani è prima di tutto restare in rapporto con Cristo. Domandare, chiedere aiuto, litigare con lui, come quel prete di campagna. «Non esiste un solo granello di polvere in cui non sia presente Dio», è ciò che il Crocefisso dice a don Camillo, tentato dal pensare che gli ‘altri’, i comunisti, siano qualcosa di meno prezioso, dei credenti. C’è l’eco, in quella battuta, del «Cristo tutto in tutti» di Paolo; ma come filtrato da una semplicità di antiche madri, di nonne contadine che spiegano Dio a un bambino.
E don Camillo fraudolentemente va con Peppone in Urss, anzi in Russia. Tra la retorica dei discorsi ufficiali e lo ‘spontaneo’ entusiasmo della popolazione, il grosso prete si ferma sotto a una finestra illuminata del paese, una sera. Si sente il pianto di un neonato. «Ascolta – dice a Peppone – piangono tutti allo stesso modo».
Come avendo trovato, nel silenzio di una notte lontana da casa, il minimo comune denominatore fra gli uomini – fra i figli di quei popoli che, su quella stessa terra, s’erano ammazzati a migliaia. E, esattamente come nelle case di Brescello, una voce di donna calma il bambino nella notte. «Piangono tutti allo stesso modo»: il riconoscimento di una domanda radicale che è in tutti. Dimenticata, fraintesa, ingannata dagli imperi. Ma in fondo all’anima di tutti. Il compagno sindaco ascolta il vagito, sorride e tace. Per un’antica saggezza popolare, sa che il prete dice una cosa vera. Quella verità per cui, cinquant’anni dopo, ancora ci fermiamo a guardare un vecchio film in bianco e nero.
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