Quattro idee per uscire dal pantano

Di Stefano Morri
16 Settembre 2016
Dalle imprese alla formazione di funzionari moderni, ecco i capitoli di una strategia di sviluppo che mette in salvo il paese dal bagnasciuga della sussistenza
Matteo Renzi durante la registrazione di 'Porta a Porta' condotta da Bruno Vespa, che apre oggi la nuova edizione ospitando il presidente del consiglio, Roma, 7 settembre 2015. ANSA/ ANGELO CARCONI

renzi-ansa

[cham_inread]

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Il primo gruppo di interventi deve riguardare gli investitori internazionali. L’Italia deve uscire dal cono d’ombra delle destinazioni meno gettonate dalle imprese estere e riconquistare il ruolo che la sua posizione geografica e la qualità del suo capitale umano le può far giocare. Sul piano fiscale la soluzione, già dimostratasi vincente in alcune giurisdizioni (Irlanda e, fra breve, Regno Unito), è la riduzione della imposta sulle società. Già Renzi ha dichiarato di volerla portare dal 27,5 per cento attuale al 24 per cento. Ma non basta. Bisogna arrivare al 15 per cento. Le coperture? Da una parte l’aumento del gettito che una imposizione più lieve indurrà, dall’altro la riduzione delle agevolazioni fiscali alle imprese, per giungere a un sistema fiscale flat molto semplice, in cui basi imponibili coincidano con redditi ante imposte economici. La povertà si combatte creando il lavoro, e il lavoro si crea con le imprese. Favoriamo l’insediamento di imprese e avremo anche più ricchezza per le famiglie.

[pubblicita_articolo allineam=”destra”]Ma le imprese, specie multinazionali, abituate alla famosa giustizia anglosassone, hanno bisogno di certezza del diritto. Qui non è tanto una questione di legislazione ma di amministrazione. Con i Tribunali delle Imprese è stata imboccata la via giusta: sezioni specializzate in materia di impresa che possano creare uno ius mercatorum celere, prevedibile e certo nei suoi effetti e un ambiente in cui i furbi vengano puniti e i virtuosi premiati. Dobbiamo capire che è in atto una gara tra giurisdizioni per creare sistemi giudiziari affidabili ed efficienti. A parte i casi delle corti inglesi e del Delaware, in questo momento la Germania promuove le sue corti come affidabili e veloci nel giudizio, e lo fa in chiara ottica competitiva. Occorre investire risorse mirate nei Tribunali delle Imprese, dotandoli di mezzi e uomini perché aumentino le loro performances; occorre instillare nei giudici una idea meno sacrale e più di servizio del loro lavoro.

Puntare sulle libere professioni
Ma certezza del diritto vuol dire anche una Pubblica Amministrazione veloce, moderna e che decida. Le disavventure fiscali di Apple e di Google, tanto per fare due nomi famosi, avranno fatto godere una base sociale arrabbiata, ma hanno mandato un messaggio molto semplice in giro per il mondo: l’Italia è un paese pericoloso per chi fa impresa. Stiamone alla larga finché possibile. Non c’è certezza delle regole. Bisogna avere una Pubblica Amministrazione messa nelle condizioni di operare in autonomia per favorire la composizione dei conflitti tra imprese e stato ed orientata a soluzioni che siano sì eque ma anche realistiche e commerciali. In questo senso, non aiuta la frammentazione delle autorità che si radunano intorno a un medesimo caso. Ciò fa sì che il problema si ingigantisca, si aggrovigli e diventi irrisolvibile. Ad esempio, il diritto penale dell’economia dovrebbe arretrare davanti agli accordi raggiunti tra imprese e enti amministrativi preposti (ad esempio l’Amministrazione finanziaria, la Consob, la Banca d’Italia, le autorità preposte all’urbanistica e così via).

Un secondo settore che potrebbe dare un grande contributo alla rinascita del Paese è quello delle libere professioni. L’Italia è molto lunga, e un avvocato a Milano sembra fare un mestiere diverso da un avvocato a Catania. Bene, bisogna consentire all’avvocato di Milano di affrontare la complessità della domanda di servizi professionali che riceve, che è quella di imprese che operano su mercati globali e che sono molto simili a quelle di Monaco, o di Parigi o di Londra. Bisogna dare a questo avvocato la possibilità di associarsi ad altri avvocati e dare via a un percorso di integrazione nella specializzazione, lo stesso che hanno seguito i suoi colleghi che operano nei grandi studi internazionali.

Ciò può accadere solo se vengono non solo consentite ma spinte con forza le società professionali che potrebbero, anzi dovrebbero, poter raccogliere capitali. Solo dando impronta e mezzi di impresa alle professioni le si potrà far uscire dal bagnasciuga della sussistenza in cui si sono impantanate. Peccato però che il sistema ordinistico, basato sulle elezioni degli esponenti, si muova in totale controtendenza e sia la vera fonte della più sorda conservazione.

Ripartire dalle infrastrutture
Terzo punto, l’Italia ha bisogno di imponenti opere pubbliche. La spirale perversa del debito, della frammentazione delle procedure, della lentezza dei procedimenti giudiziari, ha fatto sì che sia stato accumulato un ritardo enorme nelle infrastrutture. Farle ripartire vuol dire anzitutto svincolarle dal limite della finanza pubblica e ciò si può fare solo coinvolgendo i privati con la finanza di progetto. Le Pubbliche Amministrazioni dovrebbero creare team specializzati in questo tipo di strumenti, individuare i bisogni da colmare e promuovere instancabilmente l’elaborazione di progetti finanziati in tutto o in parte da privati. La finanza di progetto richiede importanti conoscenze tecniche, finanziare e di marketing e implica una evoluzione importante della cultura della Pubblica Amministrazione. Qui ci sono anche barriere culturali e ideologiche da superare, in quanto il project financing può arrivare a coprire tutto lo spettro delle opere pubbliche, e si pone in competizione con il settore pubblico in senso stretto, ad esempio la vasta area delle imprese municipali.

Nuova Pubblica Amministrazione
Quarto punto: la Pubblica Amministrazione stessa. Parliamoci chiaro: l’Italia ha un problema gigantesco. È come una grande azienda che opera nel mercato globale competendo coi tedeschi, gli inglesi, i francesi, gli stessi spagnoli, con una dirigenza vecchia, che non sa l’inglese, che non sa d’impresa, che non sa che sta dando un servizio e non semplicemente esercitando un potere. Qui è cruciale la formazione post laurea, dato che quella prima è un disastro completo ed è quasi irriformabile nel breve, specie nelle università del Sud. In Italia mancano scuole, possibilmente non romane, di livello per una vera formazione dei quadri della Pubblica Amministrazione. Scuole vissute come degli imprinter culturali per la creazione di civil servants e non solo come erogatori di titoli. Scuole realmente connesse al mondo dell’impresa e dell’economia. Primi esempi ne abbiamo: la Bocconi e il Politecnico a Milano ci stanno provando. Andrebbero sostenute e andrebbe inserito nel sistema meritocratico un riferimento alla partecipazione a scuole di tale fatta. Senza una nuova Pubblica Amministrazione non ce la facciamo. Il Paese viaggia scollato tra pubblico e privato. E la formazione di un corpus di funzionari moderni e fieri del loro ruolo di servizio e di guida è la vera chiave.

* L’autore di questo articolo è managing partner dello Studio Morri Rossetti, specializzato in M&A e diritto societario

Foto Ansa

[cham_piede]

Articoli correlati

2 commenti

  1. Pessimista

    sarebbe già tanto se si riuscisse a fare, non dico una delle quattro proposte, ma un decimo di una delle quattro proposte.
    Quando la gente si siede sulle poltrone sembra che gli si cuocia il cervello:
    perde di vista quello che dovrebbe essere il bene della nazione, si lascia tirare di quà e di là,
    non riesce a immaginare le cose oltre una settimana
    quando dovrebbe pensare a prospettive di 5, 10, 30 anni.

  2. Quercia

    Interessante

    Sul primo punto, tanto per “fantasticare”, credo sarebbe utile che l’obbiettivo di un governo italiano nel medio-lungo termine fosse la trasformazione dell’Italia in un “paradiso fiscale”. Non inteso come stato senza regole fiscali, in preda alla legge del più forte, dove ciascuno può evadere le tasse e/o riciclare il denaro derivante da attività illecite. Ma soltanto uno stato in cui, ferma restando la certezza della pena rispetto ai reati previsti già oggi, la tassazione fosse fra le più basse al mondo, ogni anno lo stato avesse l’obbiettivo di abbassarle ulteriormente e la burocrazia fosse fra le più leggere.
    Abbassare le tasse solo alle imprese però non mi convince. Sicuramente bisogna fare anche quello, ma non solo. Se da una parte infatti, la riduzione dell’Ires comporterebbe l’interessamento dei capitali stranieri, ossia imprenditori stranieri desiderosi di aprire un’attività in Italia, creando conseguentemente posti di lavoro, dall’altra il tessuto di piccoli imprenditori nazionali rimarrebbe al palo, in quanto spesso questi ultimi sono soggetti Irpef. Questo perchè il tessuto economico italiano è tutto particolare e si basa su microimprese. Secondo me, quindi, ferma restando la necessità di attirare capitali stranieri, la vera svolta in Italia e il vero nodo su cui investire, sarebbe incentivare gli italiani a fare impresa. Non mi riferisco a creare grandi imprese multinazionali. Se è così ben venga, ma mi riferisco a piccole attività. Ossia che ogni cittadino fosse incentivato a crearsi il proprio posto di lavoro, piuttosto che cercarne uno già “pronto”. Quindi piuttosto che cercare lavoro come dipendente di un elettricista, aprire partita Iva da elettricista. Piuttosto che cercare lavoro come commessa, cercare di aprire un negozio. Piuttosto che fare il barista, pensare di aprire un bar. Piuttosto che fare l’impiegato in un ufficio tecnico, cercare di aprirne uno (ordini professionali permettendo). In sostanza “emanciparsi” dal lavoro dipendente per tentare di crearsi una propria attività indipendente. Se ciò avvenisse infatti, ciascuno si creerebbe un lavoro, lascerebbe il lavoro dipendente a qualcun’altro, e nel tempo magari, creerebbe altri posti di lavoro (dipendente).
    Questo però potrebbe succedere solo se, per esempio terminato il ciclo di studi, il cittadino sa che se apre un’attività paga di tasse almeno almeno la metà di quante ne pagherebbe se fosse dipendente. Invece ad oggi è l’inverso. Se trova un posto dipendente infatti paga meno in termini di Irpef e Inps e in più tutte le formalità burocratiche (calcolo e versamento tasse, calcolo e versamento contributi ecc) sono svolte dal suo datore di lavoro. Se invece apre partita Iva sa che pagherà di più (vogliamo parlare x esempio della gestione separata INPS?) e in più deve pagare il commercialista e capire come funzionano i modelli Unico, F24 e compagnia cantante.

I commenti sono chiusi.