
Quale pensiero? E quale laico?
E’ accaduto ai margini del grande evento Meeting, in uno di quegli incontri un po’ per addetti ai lavori – la presentazione di un libro, in questo caso l’ultimo di Gianni Baget Bozzo, Profezia – che è passato inosservato. O tutt’al più ridotto, in qualche breve di cronaca giornalistica, all’informativa, grottesca, secondo cui “Baget Bozzo attacca Lucentini”. Lasciando i morti a seppellire i morti, ecco qui di seguito il testo di un confronto serrato, autentico, ricco di intelligenti osservazioni su temi di scottante attualità, politici e, insieme, esistenziali, tra due uomini, editorialisti e scrittori, l’uno inviato della Stampa di Torino, l’altro editorialista de Il Giornale. Che come si capirà leggendo qui e il seguito del dialogo sul prossimo numero di Tempi, sono consapevoli che per dialogare non basta parlare. Bisogna parlare seriamente.
Del dialogo o della diversità
Pierluigi Battista: Secondo una tradizione politica e culturale molto italiana, la definizione di “laico” sarebbe patrimonio esclusivo di un certo schieramento il cui prius è il dichiararsi ostile o estraneo alla Chiesa cattolica. Ora, se questa concezione può avere avuto senso per come si è compiuto il nostro Risorgimento, oggi la parola “laico” è un termine che non definisce alcunché. Se io sono – come credo di essere – un liberale non giacobino, mi domando se la mia vicinanza culturale, esistenziale, psicologica, politica, non sia più marcata rispetto a un liberale cattolico che non a un sostenitore della libertà laica. La definizione corrente di laico non è dunque solo insufficiente e fuorviante, ma non riferisce d’altro che – lo dico senza baldanza e senza iattanza – di una persona che ha la sfortuna di non credere. Ringrazio perciò Gianni Baget Bozzo perché con i suoi interventi costringe noi, “laici” tra virgolette, a misurarci e a riflettere sulle cose essenziali, sulle cose vere, in un mondo in cui l’ecumenismo sembra essersi ridotto alla ricerca di un punto mediano dove tutte le posizioni si snaturano un po’, si annacquano un po’, si edulcorano un po’, si attenuano un po’. Se questa fosse la condizione per la discussione, sarebbe una gran brutta condizione, perché la forza del dialogo avviene sulla diversità, non su un punto di neutralità. Ecco – Gianni Baget Bozzo mi dica se sbaglio – intanto questo suo libro rivendica metodologicamente questo, cioè che la discussione comincia ad avvenire sulla base di una posizione coerentemente ed onestamente presa come presupposto; eppoi si discute, si litiga, si fa a botte (metaforicamente, per carità), ma sulla base di una convinzione forte. Parto allora con una domanda che ricavo da una recensione apparsa su Repubblica e in cui Umberto Galimberti dice in sostanza che a volte è banale il rapporto tra pretesa di verità e intolleranza, che, purtroppo, esiste un rapporto di indissolubilità tra le due cose, che la presunzione di essere nel vero presuppone che tutti gli altri che non condividono quel vero siano nell’errore e che dunque la tolleranza presuppone un piano di parità. Galimberti fa questo esempio: se noi assumiamo come verità che due più due fa quattro, cosa ne facciamo di tutti quelli che sostengono che due più due fa cinque? Noi li vogliamo convincere, ma a un certo punto dobbiamo smettere per ragioni di tempo. E allora che ne facciamo di loro? Li sterminiamo? No, evidentemente. Né li vogliamo rinchiudere. In una società multiforme, in cui la modernità consiste in una molteplicità di punti di vista cosa dobbiamo fare con quelli che, come me, mettono in dubbio la verità che due più due fa quattro?
il suicidio del pensiero laico
Gianni Baget Bozzo: Messa così è messa in chiave comica. Non c’è nessuno che discute la verità dei numeri e non penso che tu pensi che due più due fa cinque perché non penso che la matematica sia una opinione. Però vorrei tornare alla conversazione che ho fatto nel salottino poco fa prima che tu arrivassi. Secondo me non esiste più il mondo laico. Lo dico perché il mondo laico era anche una soluzione del più radicale dei problemi: la morte. Cioè, sopprimeva l’individuo e l’immortalità era quella del collettivo: la Patria, la Nazione, la Rivoluzione. Ho conosciuto molti uomini, di parte fascista e di parte comunista, per i quali morire per la patria, per la rivoluzione, era vivere questo concetto di immortalità. La fine del comunismo non ha distrutto l’Unione Sovietica, ha distrutto il pensiero moderno, ha rimosso l’asse che parte da Cartesio e che, attraverso Spinoza, Kant, Hegel, giunge fino a Lenin. Mi diceva giustamente Renato Farina: come mai la stampa ha dato tanto rilievo al suicidio di Lucentini? Perché finita la morte collettiva è finito anche il mondo laico. Oggi il pensiero laico diventa nichilista. Per questo la stampa dà sei pagine al suicidio. Ha visto bene Dostoevskij nel caso Kirillov, in cui l’unica forma di potenza di immortalità appare essere il suicidio. Dunque Lucentini ha espresso la libertà laica nella distruzione della sua vita come un atto banale. E questo è l’esempio classico di nichilismo e significa che siamo tornati al tema classico individuale della morte, che del resto è il tema della civiltà greco-romana. Ma oggi il pensiero laico come pensiero forte è assolutamente finito. Dov’è un pensatore laico in Italia? Norberto Bobbio è il rudere del pensiero ed è ormai come appalto per i post comunisti. Se volete dire “la morte in vacanza”, dite Norberto Bobbio. Dunque, in sostanza il pensiero laico non esiste più e forse questa è la ragione perché tu sei anche qui (al Meeting di Rimini, ndr) con un pubblico così confessionalmente cattolico. Libertà e verità sono entrati nella storia mediante il cristianesimo. Come li usiamo noi questi termini non esistevano prima di Cristo. Cos’è l’“eleuteria” greca? La libertà del cittadino, non dell’uomo. Quanto al concetto di verità, indica qualche cosa che trascende l’uomo e il mondo ellenico alla trascendenza di Dio non ci è arrivato. La libertà in senso nostro, voglio dire nel pensiero occidentale, vuol dire una libertà oltre la città, cosa che curiosamente rievoca il diritto al dissenso. Libertà e la verità sono parole di Cristo: “Io sono la via e la verità”. Io credo che l’Occidente possa usare le parole verità e libertà in riferimento all’uso cristiano perché se lo fa in un uso diverso allora la verità può diventare la parabola di Lenin, cioè una verità imposta. Quando il cristiano usa il termine verità lo riferisce a Cristo, non allo Stato. Cioè libertà e verità sono termini che trascendono la società, sono i termini che hanno spazio solo nell’Eterno. è questa la natura loro, non intrinsecamente totalitaria, mentre invece la libertà giacobina taglia le teste e la verità comunista ammazza i corpi. Spazzata la trascendenza, libertà e verità diventano i mezzi della tirannia. Tant’è che nella storia del mondo laico in Italia libertà e verità sono sinonimo di violenza e di guerra. L’idea stessa dei diritti umani, cioè quella di uno spazio universale in cui si garantiscono i diritti umani, mostra che anche il pensiero politico trascende quei fini di immanenza statuale razionale rivoluzionaria politica che erano caratteristica del pensiero laico, intendendo per pensiero laico quello che va da Cartesio a Hegel a Marx e al comunismo. è vero che il cristiano è stato intollerante. Questo è un problema. Però dobbiamo comprendere cosa era la storia del secolo XII per capire perché un imperatore non amico della Chiesa, Federico II, istituì, lui laico, il più laico dei medievali, il Tribunale dell’Inquisizione. Perché probabilmente influenzato dalle sue amicizie con il mondo islamico. Perché in realtà il fatto cristiano era allora, diciamo così, una dimensione interamente pubblica. Il grande pericolo di quando nacque la prima inquisizione era il manicheismo, il quale, ritornato in grande forza in Francia e in Italia, sosteneva che la creazione è un male e procreare un peccato. I grandi santi del Duecento lottano contro queste cose; cioè il cristianesimo ad un certo momento ha fatto parte delle realtà politiche e delle realtà civili del medioevo. Quello che è venuto dopo non ha più ammesso l’intolleranza religiosa, l’ha sostituita con l’intolleranza laica, di fronte alla quale la santa inquisizione fa ridere. Credo che ciascuno preferirebbe essere giudicato da un tribunale della santa inquisizione piuttosto che da un tribunale nazista o comunista o anche liberale o giacobino. Giustamente il Concilio Vaticano II ha fatto fare un passo avanti al pensiero cristiano valutando fortemente il tema della libertà come un diritto naturale e recuperando un bene suo. Ma voglio dire che rimane pur sempre vero che proprio la libertà e la verità sono termini che hanno un significato trascendente, cioè Cristo, e come tali non hanno un contenuto politico. E quindi non possono essere usati come discriminazione politica. Questo è forse il senso positivo delle “perdonanze” di Giovanni Paolo II. Quindi io spero di rispondere alla tua domanda dicendo che se tu credi che Dio non esiste hai il diritto di credere che Dio non esiste. Mi dispiace per te, ma non ci posso fare niente.
Liberali e giacobini
Pierluigi Battista: Vorrei dire una cosa in totale accordo con quello che ha detto Baget Bozzo e un’altra invece che esprime un dubbio, una perplessità rispetto a quanto ho testè ascoltato. La prima è la progressiva scoperta (che per voi forse non è niente, perché già lo sapevate prima, ma per noi che abbiamo dovuto fare, come diceva Edmund Burke, un lungo viaggio, una lunga divagazione per staccarci dalle convinzioni della nonna e poi attraversare vicissitudini tremende, tornare al punto di partenza e scoprire che forse la nonna aveva ragione) del fatto che quando noi parliamo delle libertà dei moderni, noi parliamo di una cosa che affonda le sue radici nella tradizione cristiana. Per voi questo riconoscimento non suscita lo stupore intellettuale che invece ha suscitato in me, perché io vengo da una storia, una tradizione culturale, un filone consolidato nel tempo, in cui l’idea era che le libertà moderne, i diritti dei moderni fossero nati in contrapposizione, in guerra contro la tradizione cristiana. Ha perfettamente ragione Baget Bozzo: se a me qualcuno dovesse mai porre l’alternativa – “vai alla santa inquisizione oppure vai da Vishinsky” – non avrei dubbi. Cosa voglio dire, voglio allora difendere una idea di male relativo rispetto ad una idea di male assoluto? No, dico che in una tradizione c’è un deposito di valori e di amore per la libertà e per la libertà della persona, che altrove non si trova. Non solo non si trova, ma si trova la sua negazione. Dunque quella vulgata va presa e “rovesciata come un calzino”, per usare una espressione cara a Piercamillo Davigo. Naturalmente, per me che non sono credente quell’amore per la persona si intreccia con una considerazione di tipo molto diverso rispetto al tema del suicidio così come ne ha parlato Baget Bozzo. Perché a me non credente che ha conociuto il naufragio delle ideologie e delle religioni secolari, al quale rimane soltanto la persona, se non posso nemmeno rimanere ancorato a questa idea del disporre di me stesso – lo dico in forma del tutto problematica – davvero non so più dove vado. Continuo però a pensare che l’uso che anche Baget Bozzo fa del termine “laico”, è una definizione che non riesce a soddisfarmi perché va molto lontano dalla verità. Perché, scusa don Gianni, che rapporto c’è tra il liberal conservatore e un comunista figlio e nipote del giacobinismo? Secondo il fascismo tra il 1789 e il 1917 c’è un legame necessario; per un comunista il legame tra il 1789 e il 1917 è un legame rivendicato, siamo veramente convinti che sia così? Come si fa a mettere sotto la stessa etichetta di pensiero laico un’idea criminale secondo cui per il bene del mondo occorre sterminare venti milioni di persone e un’idea per cui per evitare che il male del mondo faccia troppo male bisogna creare alcuni argini, alcuni contrappesi per cui il potere non sia un potere illimitato, cioè l’idea del costituzionalismo liberale moderno? Possiamo dire che sono due forme, sia pure antagoniste, del pensiero laico? O non possiamo invece dire che sono due forme di pensiero radicalmente opposte tra loro? Possiamo dire che uno è per esempio un surrogato criminogeno del pensiero religioso? Surrogato l’uno e, l’altro, il pensiero liberale, invece un’idea regolativa del mondo che, diciamo così, “fa finta” che quei problemi che Baget Bozzo pone possano essere risolti in una sede che non è la sede della città, della civitas dello stato e che quindi ritiene che il compito della politica non deve essere quello di imporre una visione etica, una visione del mondo, una verità religiosa, ma compito della politica sia quello di essere un vigile urbano che in qualche modo stabilisce una convivenza tra fedi diverse, opinioni diverse, interessi diversi? Allora sono tutte due laici questi pensieri, nel senso che si definiscono così perché ambedue fanno a meno di Dio, se non ho capito male. Però non c’è una bella differenza tra il pensiero che vuole sostituirsi a Dio disponendo della vita o della morte di milioni di persone sulla base di un ideale perfettistico tutto terreno e un’idea che rinuncia a commettere il male rinunciando a perseguire il bene su questa terra? Sono tutte e due etichettabili come pensiero di tipo laico?
Gianni Baget Bozzo: Carissimo, io non userei affatto il termine laico perché questo è diventato fondamentalmente un modo per includere tutti tra i liberali e i comunisti. Il pensiero liberale è un’altra cosa…
(Prima puntata- continua)
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