Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)
Boris è contento ma si lamenta. Possibile che non possa mai esserci soddisfazione piena, certezza di giustizia, discesa sicura verso una casa piena di tepore (non solo per me e i miei amici, ma per tutti)? La contentezza è dovuta alla vittoria di Donald Trump, alla sua forza un po’ stravagante e persino sgraziata. Egli interpreta l’anima del suo popolo, che per stavolta (ma non è la prima volta) in America si è ribellato al gran mondo delle élite. Il politically correct è una parola che è venuta a noia, lo so. Eppure è una questione ancora decisiva. Non si tratta di una forma di eleganza di linguaggio e di pensiero, ma è la pretesa di segnare il campo di ciò che è umano e di ciò che non lo è, consegnando al deposito delle carcasse putrefatte convinzioni considerate tabù.
Il centro di tutto è la questione dell’identità. Chi siamo? Il politically correct spiega che siamo individui che portano con sé diritti assoluti (in realtà apparenti). Rifiuto della dipendenza originaria da qualcosa che viene prima, padre, madre, patria, famiglia, e il Dio è un fai-da-te, un Olimpo dove Dio ha mille facce diverse di un’unica faccia sopra le nuvole. Illusione. Mai come da quando il politically correct ha preso possesso del mondo con la globalizzazione, un cosmopolitismo senza terra di origine e neanche terra promessa, gli uomini sono stati tanto privati di ogni diritto reale, impoveriti, costretti ad andarsene dal proprio paese.
Un uomo a taglia unica
Boris non la fa troppo lunga con le analisi. È l’obamismo. Affascinante, persino esteticamente elegante. Il tentativo è stato quello di creare un uomo a taglia unica, una schiavitù d’Egitto, con cipolle per tutti. Liquidando le religioni nell’unico brodo del mercato onnipotente, fingendo che esse siano uguali, e le culture omogeneizzabili secondo i dettati del politically correct. Quest’America obamiana si sposava con un’Europa vecchia. Vecchia perché ha divelto le antiche radici. Non le ha strappate dalla terra solo la burocrazia rapinosa e vuota di Bruxelles, non solo il potere finanziario. Ma è stata la Chiesa ad essersi vergognata di Gesù Cristo, inseguendo l’apostasia dei popoli devoti solo ai consumi, qualche volta anche ai consumi devoti, senza amore.
Mamma mia. La sto facendo lunga. Mi sono intestardito nello scrivere un trattatello sul senso della storia come certi autodidatti. Chiudo in fretta. Il fatto è che è successo qualcosa. Esiste qualcosa che alla fine si ribella nei popoli, quando la tirannide del pensiero unico sembra averli conquistati. Viene chiamato spregiativamente “populismo”. Boris, che è russo, lo ha amato. Era il grido dei contadini delle sue terre, così diverso dal materialismo storico e dialettico del marxismo. Fu mal raccolto dai capi che lo portarono al fallimento, ma era vero, serio.
L’aborto non è un particolare
Oggi accade questo. Come ha scritto Giulio Tremonti, “la talpa del populismo” scava sotto le fondamenta gracili delle cattedrali del potere finanziario e culturale del politically correct. Donald Trump è questo. Bisogna riflettere sulle sue posizioni sull’aborto, e su quelle dei suoi elettori. Non sono un particolare, ma il riconoscimento di una dipendenza.
Poi ecco che Trump esagera, è goffo, cade nella superbia, sbaglia con gli immigrati e i suoi divieti. Infatti, se ha un senso vigilare sul terrorismo islamico, e persino non dare più il visto da certi paesi statisticamente sorgente di estremismi assassini (il principio della quarantena), non è possibile la cacciata di chi si è integrato, né è giusto spezzare le famiglie. E qui c’è la tristezza di temere che Donald rovini tutto. Ma Boris resta dei suoi. Del resto da sempre è così. Sant’Ambrogio fu durissimo con Teodosio, ma restava dei suoi, anche dopo i suoi sbagli.
Foto Ansa