
Putin parla come Lenin e Stalin. La Russia è in difficoltà

L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia non sta procedendo secondo i piani di Vladimir Putin ed è addirittura «in stallo su quasi tutti i fronti», afferma l’intelligence britannica. Anche per questo, probabilmente, il presidente russo ha alzato il livello della retorica nei suoi ultimi discorsi, richiamandosi in modo inquietante a concetti espressi da Lenin e Stalin prima di lui.
Già 7.000 soldati russi caduti in guerra
Secondo il Cremlino, finora sono caduti in battaglia 498 soldati russi. Kiev sostiene che siano 13.500, mentre la stima più probabile è quella realizzata dagli americani: già 7.000 soldati morti su 150 mila mobilitati. Sarebbero dunque caduti più soldati russi in 24 giorni che americani in vent’anni di guerra in Afghanistan e Iraq.
Il 50 per cento dei reparti russi pronti a combattere, stima il Pentagono, sono già schierati in Ucraina, un numero altissimo. Nuovi rinforzi potrebbero arrivare dalla Siberia, l’esercito bielorusso potrebbe essere coinvolto nel conflitto, il primo aprile è prevista una nuova leva di circa 130 mila soldati fra 18 e 25 anni. Che Mosca rimanga senza effettivi è dunque altamente improbabile, ma di sicuro il prezzo che la Russia sta pagando è altissimo.
L’Ucraina resiste all’invasione
A conferma delle difficoltà di Mosca ci sarebbe inoltre la richiesta di aiuto alla Cina, da parte del Cremlino. A Pechino, Putin avrebbe chiesto missili terra-aria, droni, equipaggiamento di intelligence, veicoli corazzati e veicoli per la logistica e il sostegno alle operazioni militari. Non è chiaro se Pechino abbia risposto positivamente alla richiesta: di sicuro, anche nella telefonata di ieri tra Joe Biden e Xi Jinping, il leader cinese si è rifiutato di criticare la Russia pur affermando che «la situazione in Ucraina e qualcosa che non vorremmo vedere» e che «la guerra va contro gli interessi di tutti».
Se da un lato la Russia non si aspettava una risposta così efficace da parte dell’esercito ucraino, dall’altro i limiti logistici dell’armata russa e le tecnologie militari fornite dall’Occidente a Kiev (Javelin, Stinger, droni Bayraktar Tb2, Switchblade americani) hanno aiuto a fermare l’avanzata dei carri armati e dei mezzi corazzati russi.
È anche a causa di questa impasse che, nota Guido Olimpio sul Corriere della Sera, i russi si stanno limitando a «conservare il terreno conquistato, bombardare le città da lunga distanza, distruggere infrastrutture e fabbriche, contrastare eventuali aiuti». Nonostante l’invasione proceda lentamente, la superiorità dell’esercito russo resta soverchiante ma i toni sempre più duri utilizzati da Putin nei suoi discorsi, e le leggi draconiane approvate in patria, segnalano forse che il Cremlino è in seria difficoltà.
La retorica violentissima di Putin
In un discorso tenuto mercoledì, Putin ha alzato il livello della retorica puntando il dito non solo contro l’Occidente, «l’impero delle menzogne», ma anche contro «la cosiddetta quinta colonna, i traditori nazionali» che vivono in Russia fisicamente ma stanno dalla parte dell’Occidente con la «loro mentalità servile». Ha poi aggiunto:
«L’Occidente sta cercando di dividere la nostra società a proprio vantaggio. […] Come ho detto, il loro obiettivo è distruggere la Russia. Ma ogni nazione, e soprattutto il popolo russo, sarà sempre in grado di distinguere i veri patrioti dalla feccia dei traditori e saprà sempre sputarli fuori sul pavimento come insetti. Sono convinto che una naturale e necessaria auto-disintossicazione della società come questa rafforzerà il nostro paese, la nostra solidarietà e coesione e la nostra prontezza a rispondere a ogni sfida».
Putin parla come Lenin e Stalin
Come possono le parole di Putin non ricordare quelle che Lenin metteva nero su bianco nel 1917 e cioè che «c’è sempre bisogno di purgare la terra russa da ogni sorta di insetti nocivi» perché, aggiungeva, «in quale quartiere d’una grande città, in quale fabbrica, in quale villaggio non vi sono sabotatori che si definiscono intellettuali»?
Anche l’«auto-disintossicazione» della società non può non ricordare in modo sinistro la «fiumana» di arresti, «Volga del dolore di un popolo», come la chiamava Aleksandr Solzenicyn, cioè le purghe del 1919-1920, ’29-’30, ’37-’38, ’44-’46. Nelle parole di Putin, riecheggia anche in modo inquietante la famosa poesia lapidaria di Vladimir Majakovskij: «Chi oggi non canta con noi/ è contro/ di noi!». E le leggi, di recente introdotte in Russia, che infliggono fino a 15 anni di carcere a chi osa anche solo definire l’aggressione russa «guerra» o «invasione», non sono meno allarmanti. Infine, a quante “quinte colonne” Stalin diede la colpa dei propri colossali fallimenti?
Ieri, durante un discorso allo stadio Luzhniki davanti a 200 mila persone per l’ottavo anniversario dell’annessione della Crimea, Putin ha poi rincarato la dose, citando anche il Vangelo: «L’operazione militare speciale è stata lanciata per evitare il genocidio dei russi [nel Donbass]. Sappiamo cosa deve essere fatto e come farlo. E sicuramente attueremo tutti i piani. Non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici».
La Russia ricordi il monito di Grossman
Il ritorno ad alcune parole d’ordine del marxismo-leninismo e dello stalinismo è ancora più preoccupante se letto alla luce della sentenza con cui il 28 dicembre la Corte suprema russa ha chiuso, anzi «liquidato», Memorial Internazionale, il centro di ricerca fondato nel 1989 dal grande fisico perseguitato Andrej Sakharov per preservare la memoria delle repressioni sovietiche.
Come dichiarava a Tempi Anna Bonola, codirettore del Centro studi Vasilij Grossman e docente ordinario di Slavistica presso l’Università Cattolica del Sacro cuore di Milano,
«il nazionalismo putiniano ha costruito una propria narrazione della storia russa, ma manipolare la storia e riprendere cliché di epoca staliniana sembra essere sempre più una via senza uscita. Come diceva Grossman, censurare la verità non può che avere la violenza come esito. Tornare al tempo dell’eliminazione dei nemici ideologici non farà che instradare la Russia di Putin verso il ritorno alla dittatura. Questo è l’esito inevitabile di un potere che si fonda sulla menzogna».
Foto Ansa
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