
Pupi Avati: «Il mio Benedetto XVI»

Alle 19 di ieri sera, lunedì, erano già 65 mila le persone transitate in silenzio davanti alla salma di Benedetto XVI, esposta dal mattino. Persone da ogni parte dell’Italia e del mondo, e romani affezionati al pontefice tedesco hanno voluto salutare per l’ultima volta il Papa emerito, morto il 31 dicembre scorso a 95 anni. «Avevo una gran paura che andassero in pochi, l’altra sera i telegiornali dicevano che Piazza San Pietro era deserta. Vedere tutta quella gente mi dà una grande gioia». Si spezza per un istante la voce di Pupi Avati, regista tra i più grandi e amati in Italia, mentre al telefono consegna a Tempi il suo ricordo di Benedetto XVI, e gli diciamo che sono tantissimi i ragazzi in fila. «Questa è una bellissima cosa che mi commuove», dice.
Il cortometraggio per Benedetto XVI e le sue lacrime

Come era commosso il 29 giugno di dodici anni fa, quando proiettò in Sala Nervi il suo cortometraggio per celebrare i sessant’anni di ordinazione sacerdotale di Joseph Ratzinger: «Monsignor Ravasi mi aveva chiesto di fare in modo che il cinema italiano festeggiasse questa ricorrenza. A me venne in mente di raccogliere e mettere in fila sessanta testimonianze cinematografiche, una per ogni anno di sacerdozio, non come interviste ma come brevissimi spezzoni di film, molti dei quali capolavori della storia del cinema, di sessanta registi diversi – molti agnostici e laici, naturalmente ignari della cosa (ride, ndr) – accompagnati dalla musica di Beethoven».
«Questo breve montaggio di frammenti che salutavano il Papa», continua Avati, «si concludeva con un colpo di fortuna straordinario: si vede che eravamo protetti dall’alto, perché recuperammo in una cineteca all’ultimo momento il filmato della sua ordinazione, lui sdraiato per terra e poi il corteo. Alla fine della proiezione Ravasi mi disse che il Papa voleva che io salissi da lui sul palco. Io andai, e lui piangeva. Mi strinse le mani piangendo, e io piangendo gli strinsi le mani».
Pupi Avati non ricorda nemmeno se Benedetto gli disse qualcosa: «Probabilmente sì, bisbigliò qualche parola, ma la bellezza di quel pianto, di quelle mani che mi stringevano, la commozione della riconoscenza, mi sono rimasti dentro da allora. L’ho sentito spiritualmente vicinissimo». Alla fine dell’evento padre Georg Gänswein, suo storico segretario, rincorse Avati che stava uscendo, dicendogli che il Papa voleva una copia del cortometraggio per poterlo guardare di nuovo.
«In quello sguardo era tutto chiaro, non serviva dire nulla»
«Una grazia, un abbraccio senza pelle», ha detto in altre occasioni il grande regista raccontando quell’incontro con Ratzinger, per molti versi simile a quello avuto con il suo predecessore a Castel Gandolfo, diversi anni prima: «Si doveva fare la prima intervista televisiva a un pontefice nella storia», racconta Avati. «L’intervistatore di Giovanni Paolo II doveva essere Vittorio Messori, io avrei dovuto essere il regista. Il progetto, tenuto segreto a lungo e preparato con Navarro Valls e Stanislaw Dziwisz, non vide però mai la luce, perché Wojtyla decise poi di rispondere per scritto alle domande. Io però conservai l’emozione di quell’incontro, che provai uguale con Benedetto XVI in Sala Nervi anni dopo».
Ora che Ratzinger è morto, Pupi Avati ripensa allo sguardo e alle lacrime del Papa, «lacrime e sguardo di una persona piena di carisma: mi è successo raramente nella vita di vivere una sensazione del genere, anche incontrando personaggi molto importanti e significativi. In quello sguardo e in quell’incontro era tutto chiaro, non era necessario dire nulla». Giovedì Papa Francesco celebrerà i funerali di Benedetto XVI, oggi e domani continuerà la processione di fedeli di fronte alla salma di un pontefice la cui rinuncia «rimarrà a mio avviso inspiegabile per noi».
Eppure anche questi anni di ritiro sembrano portare frutti: «C’è un libro che consiglio a tutti di leggere, Il monastero di Massimo Franco, che racconta alla perfezione quello che ha provato Benedetto, la sua persona, la dolcezza, la mitezza, la capacità di vivere e sopravvivere tutti questi anni senza polemiche, senza una parola fuori posto. Quando Giovanni Paolo II lo aveva scelto, e di fatto indicato come suo successore, non si era certamente sbagliato».
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