Il principe Harry fa l’ambientalista, ma è quasi peggio di suo padre Carlo
Qualche anno fa il Principe Carlo attraversava il mondo sul suo jet per spiegare al mondo che mancavano pochi anni all’apocalisse climatica: aveva fatto anche un calcolo – scientifico, of course – e nell’aprile 2009 era venuto in Italia a spiegare ai nostri parlamentari che restavano «soltanto 99 mesi per salvare la il pianeta». I 99 mesi sono scaduti più o meno ad agosto del 2017, il pianeta c’è ancora e quotidianamente ci viene spiegato che possiamo salvarlo ma manca poco. Le previsioni sbagliate contano soltanto se non sei dalla parte dei buoni, si sa, ecco perché quella di Carlo il Procrastinatore continua a essere considerata una voce credibile sull’emergenza climatica (due anni fa aveva detto che i mesi a disposizione erano 18, già passati anche quelli) invece di essere ignorata o bollata come fake news.
Meno inquini, più stelline ricevi
Le colpe dei padri a volte ricadono sui figli, e se Carlo adesso deve occuparsi di più delle faccende reali, suo figlio Harry (che nel 2020 ha scelto di ritirarsi dagli incarichi pubblici della famiglia) ne ha preso il testimone climatico. Il principe di Sussex ha lanciato da poco Travalyst, un servizio che serve a valutare la sostenibilità delle nostre vacanze. L’idea di partenza è più che già vista: impronta di carbonio, emissioni di CO2 prodotte dagli aerei e dagli spostamenti in viaggio. Harry ci ha aggiunto un tocco di ricatto moralista che non guasta mai: «Ci viene sempre chiesto il nostro feedback sui nostri viaggi ed esperienze, ma cosa accadrebbe se la nostra vacanza ci valutasse?», ha detto il principe raccontando il progetto.
Meno inquini, più compri manufatti locali per sostenere le popolazioni native, più stelline ricevi da Travalyst. Harry ha lanciato il servizio qualche giorno fa con un video trasmesso da un canale televisivo Maori in cui due “agenti di rating” lo fermano mentre fa jogging e valutano l’impatto ambientale della sua vacanza in Nuova Zelanda, rinfacciandogli una carta di caramella lasciata cadere per terra da lui durante un viaggio in quei luoghi nel 2018. Harry ha scelto i Maori perché «conoscono più di noi le pratiche sostenibili e il modo migliore per curare la terra, dandoci lezioni fondamentali che tutti possiamo imparare».
Harry a pezzi
Se Harry voleva rendersi più ridicolo del padre Carlo, ci è riuscito: moralismo, luoghi comuni sul buon selvaggio ecosostenibile, greenwashing e un complesso di superiorità tipicamente regale (il succo del video è che Harry e sua moglie Meghan hanno l’impronta di carbonio simile a quella di uno Yeti, ha ironizzato lo Spectator). Non sono ovviamente mancate le accuse di appropriazione culturale per farsi pubblicità e quelle di pessimo tempismo: solo poche settimane fa il partito maori ha chiesto che la Regina d’Inghilterra non sia più considerata il capo di stato in Nuova Zelanda.
Ci sarebbe da obiettare anche sulla scelta dei testimonial, in verità: un recente studio pubblicato su Nature ha evidenziato come l’inquinamento del pianeta non ha avuto inizio con la rivoluzione industriale e nemmeno con i ricchi bianchi europei sfruttatori di terre altrui, ma nel 1300 col fuoco appiccato alle foreste dai colonizzatori maori in Nuova Zelanda. I quali maori hanno ovviamente risposto che quello studio è razzista, dando il via al cortocircuito perfetto, ma in cuor loro hanno ringraziato che settecento anni fa non ci fosse già Travalyst. Sai che rating basso, sennò?
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