
Preti: «Le Pmi non sono un covo di evasori, ma la salvezza dell’Italia»
Tra i protagonisti della invocata ripresa economica, attendendo le annunciate iniziative del governo, c’è il mondo delle piccole e medie imprese (Pmi). Una notizia, un po’ silenziata, è il via libera di un emendamento della Lega, in sede di revisione costituzionale dell’articolo 41, nel quale si dà la stessa valenza di servizio sociale sia alle coop, sia alle Pmi, con i relativi vantaggi economici. «L’importanza di questo emendamento va sottolineata, purtroppo spesso queste proposte si perdono nei meandri dell’iter parlamentare e non si capisce più che fine fanno – puntualizza a Radio Tempi il prof. Paolo Preti, docente di organizzazione per le piccole e medie imprese, presso l’università Bocconi –. Basta ricordare che stiamo ancora aspettando l’approvazione da parte del Senato, in seconda lettura e si spera definitiva lo Statuto delle imprese, quando alla Camera passò con voto bipartisan già da marzo. C’è il rischio che tutto rimanga agli annunci e si ritardi troppo nel trasformarlo in legge. Per quanto riguarda la giustezza dell’emendamento, bisogna ricordare come la storia d’Italia sia costellata dall’opera sociale delle cooperative, sia cattoliche che socialiste e che, dagli anni ’60, sul nostro territorio si sia poi sviluppata una rete di piccole e medie imprese che hanno garantito e garantiscono milioni di posti di lavoro. Dall’unità d’Italia il tessuto sociale e produttivo ruota intorno a questi due istituti ed è giusto equipararli. Certo, di questo articolo 41 ne parliamo da mesi, e chissà ancora quanti ne dovranno passare perché dalle parole si passi ai fatti».
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Una recente ricerca conferma la vivacità, soprattutto nell’export, delle Pmi e la capacità a fare “rete”, anche se le obiezioni sono le solite: fiscalità troppo alta e burocrazia elefantiaca.
Più volte abbiamo ribadito l’importanza e la capacità di esportare da parte delle Pmi. Malgrado il luogo comune sulle piccole dimensioni, c’è la capacità di stare sui mercati internazionali e anche su quelli emergenti. Per competere degnamente sui mercati, la piccola dimensione non può che giovarsi del “networking” che potremmo tradurre in “impresa a rete”, cioè forme snelle, “light”, di collaborazione che permettono alle imprese di avere un’identità definita, pur avendo aree di collaborazione, nell’export, nella ricerca, nell’acquisizione di materie prime.
Di fronte alla vivacità di questo mondo imprenditoriale, quali iniziative realistiche potrebbe prendere il governo per dare un sostegno adeguato?
Il segretario generale di Confartigianato, Cesare Fumagalli, afferma che sarebbe importante l’intervento a livello fiscale o sul costo del lavoro, ma che ci sono delle cose più semplici e più utili per sostenere le imprese. Ad esempio l’apprendistato: semplificare il contratto di apprendistato, favorendolo, sarebbe un modo di avvicinare migliaia di giovani alla ricerca di un lavoro manuale, permettendo a molte aziende di risolvere il problema della domanda di manodopera. Solo non si capisce la lentezza della politica su un argomento così urgente.
Il documento sulla crescita presentato da Confindustria potrebbe rappresentare una spinta a prendere decisioni importanti?
Il documento mi sembra un “cascame” dei lavori che l’associazione degli industriali fece a Bergamo nello scorso maggio. Ha punti condivisibili: queste proposte erano valide dieci anni fa e lo saranno anche tra dieci anni. Non si capisce però la portata storica, in questo specifico momento, del documento, tanto da far sorgere il sospetto che sia più un’operazione di marketing, di maquillage, per coprire critiche alla manovra di governo, smentite a loro volta. Proposte generiche, utilissime, non mi si fraintenda, ma non legate alle contingenze storiche che sta attraversando il Paese. Senza tener conto le poche proposte specifiche, come quella di realizzare una specie di patrimoniale e introdurre tasse sui prelievi bancomat di una certa entità. Proposte tutte da discutere.
E’ d’accordo sulle critiche a Confindustria per quanto riguarda la ratifica dell’accordo con i sindacati compreso nell’ultima manovra economica?
L’accordo tra i rappresentanti degli imprenditori e dei sindacati depotenzia “per definizione” l’art. 8: il testo dice che è possibile un accordo aziendale tra le parti per i licenziamenti. Se però in sede nazionale, come accade con questa ratifica, si sigla un patto che sostanzialmente rigetta la validità in sede aziendale di questo tipo di accordo, sarà poi difficile trovare delegati sindacali che si prendano la responsabilità di decisioni contrarie. Non impossibile, ma difficile sicuramente.
Però, sia il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi sia gli esperti del ministero negano la possibilità di un depotenziamento della norma in questione.
Perché nulla vieta al singolo delegato a livello aziendale di trovare l’accordo e quindi l’applicazione in quell’azienda dell’art. 8. Certo, vorrei poi vederne le conseguenze all’interno dei quadri nazionali del sindacato di riferimento. Mi pare che ancora una volta si voglia dare un colpo al cerchio e uno alla botte.
Ritornando alle Pmi, c’è da parte di molti analisti una richiesta di trasparenza per quanto riguarda l’evasione fiscale da parte degli imprenditori.
E’ vero che leggiamo ormai quotidianamente sui giornali dati circa gli studi odontoiatrici, gioiellieri, i bar ristoranti che dichiarano redditi assolutamente non credibili, spesso inferiori alle dichiarazioni di reddito dei dipendenti; è altrettanto vero che questo Paese, fatto di piccole e medie imprese, vede gravare sugli imprenditori una pressione fiscale realmente più pesante rispetto ad altri. Non tanto per la percentuale, ma per le dimensioni sulle quali questa percentuale poggia. Bisognerebbe intervenire in maniera chirurgica e dare una risposta politica, colpendo finalmente chi evade pur potendo pagare la giusta remunerazione fiscale. Siccome un intervento così concepito sarebbe di difficilissima attuazione si continua con l’immagine che piccolo è brutto, anzi, è bruttissimo, perché lì si anniderebbe l’evasione fiscale che manda a picco il paese, mentre c’è chi dice che bisogna stare attenti, perché dietro questa difficoltà si nasconde la parte produttiva del Paese che, lancia un grido di allarme per la propria sopravvivenza.
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