C’è una notizia confinata nel dibattito parlamentare che invece merita di essere posta sotto un cono di luce. Si tratta della “spaccatura” della maggioranza – così scrivono i giornali – nelle commissioni Giustizia della Camera e del Senato sul decreto legislativo sulla presunzione d’innocenza.
Succede questo: il mondo politico italiano si è diviso (centrodestra più Azione e renziani, da un lato, e Pd e M5s, dall’altro) su un testo che vuole recepire il principio della presunzione di innocenza sancito da una direttiva europea del 2016. Il principio, come si sa, è già presente formalmente nella nostra Costituzione, ma disatteso nei fatti. Che questo avvenga, purtroppo, come tutti sanno e vedono – soprattutto nei casi di maggior clamore mediatico – è prassi quotidiana. Intercettazioni date in pasto ai quotidiani (l’ultimo caso: le chat di Morisi sul Corriere), gogna social e sui media, diritti della difesa calpestati e chi più ne ha più ne metta.
Un testo vero
Come detto, il testo presentato nelle due Camere già in estate ha subito generato uno scontro. I relatori Enrico Costa (alla camera, di Azione) e Andrea Ostellari (al Senato, della Lega) hanno presentato delle modifiche che hanno acceso gli animi e il voto è stato rimandato. Quali modifiche? Tutte cose di buon senso, a meno che non si voglia licenziare un testo annacquato che, ancora una volta, proclami bei principi ma poi, nei fatti, abbia lo stesso effetto dell’acqua fresca.
Costa e Ostellari volevano quindi che i magistrati non potessero più dare nomi altisonanti alle loro inchieste, che si limitassero al minimo le conferenze stampa (ormai ridotte a show), che le informazioni sulle inchieste fossero affidate solo a misurati ed equilibrati comunicati stampa sotto all’unica gestione del capo della procura. Quindi, non un “bavaglio” – come hanno scritto i soliti manettari, ma un ritorno all’ambito della legalità, oggi clamorosamente calpestata.
Il Pd sta con Bondafede&Co.
Proposte di tal buon senso che, subito, i grillini si sono opposti. Ma questo era scontato. Quel che non era scontato e che ha fatto imbizzarrire Costa è stato l’atteggiamento del partito di Letta: «Il Pd aveva una grande occasione – ha dichiarato Costa – e aveva di fronte un bivio tra una scelta liberale e la chiusura pentastellata, ha deciso di schierarsi con Bonafede and company perché il merito non conta più, conta solo non scontentare il partito di Grillo. Per non irritare l’imprescindibile Conte, i Dem calpestano gli stessi principi costituzionali che sbandierano quando conviene loro, quando a essere esposto è qualche loro amico. Un partito senza identità, senza convinzioni, unicamente con convenienze politiche». Come dargli torto.
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