Caro direttore, con un bell’articolo sul Corriere della Sera, significativamente intitolato “L’equilibrio dei poteri perduto”, Angelo Panebianco torna a sottolineare, in termini quasi drammatici, l’avvenuta assoluta prevalenza del potere della magistratura sul potere politico.
Prendendo spunto dalla incivile, pericolosa e dannosa (anche per l’economia) riforma della prescrizione, Panebianco arriva a scrivere, con parole molto convincenti, di un «panpenalismo che soffoca la società senza peraltro rimediare affatto a quei mali che il panpenalismo medesimo pretende di curare». Effettivamente, non si salva più nessuno dalla aggressività, spesso sfornita di prove, con cui tante procure tagliano le gambe a molte attività economiche private e pongono fine all’ascesa di quei politici che sembrano emergere anche nel voto popolare. Panebianco cita i casi di Craxi, Berlusconi e Renzi: aggiungerei a questi e tanti altri politici il nome di Roberto Formigoni, che pur avendo governato benissimo e con grandi risultati la Lombardia, è stato fermato con una sentenza che sembra perseguire più una supposta e generica intenzione che non dei fatti veri e propri, di cui non vi è prova. Ed ora è la volta di Salvini.
Giustamente Panebianco si pone il problema relativo alle ragioni che hanno portato a questa anomala situazione, per rimediare alla quale occorrerebbe «autolimitazione e rispetto reciproco da entrambe le parti dell’essenzialità della funzione svolta dall’altra». Ma poi aggiunge che non vi sono le condizioni perché ciò accada, per il semplice fatto che manca «un pubblico consapevole che qualunque potere, sia esso politico, giudiziario o di altro tipo, è pericoloso per la comunità se non è limitato». Parole sacrosante: ma anche questa volta, come in un precedente articolo sullo stesso tema, Panebianco omette di osservare che la grande stampa (capitanata dal quotidiano su cui egli scrive) ha contribuito, a partire dal 1992, a “formare” un pubblico giustizialista, che moralisticamente viene indotto a squilibrare i poteri nettamente a favore di una magistratura che viene comunque omaggiata e riverita anche quando sbaglia, come Panebianco dimostra.
La verità cruda è effettivamente che oggi il “pubblico”, che poi è il popolo, conta sempre meno e viene sempre meno investito della responsabilità di prendere le decisioni che contano. Il che è democraticamente drammatico, in un Paese la cui Costituzione (“la più bella del mondo”) esordisce proclamando che «la sovranità appartiene al popolo». Ma viviamo in un’epoca in cui c’è un presidente del Consiglio che non è mai stato eletto dal popolo. Viviamo oramai in una “Repubblica presidenziale” (con buona pace di tutti) in cui il presidente non è eletto dal popolo. Viviamo in un Paese in cui i procuratori, come capita in altre democrazie, non vengono eletti dal popolo ed infatti vivono chiusi nel loro comodo recinto autoreferenziale, protetto da ben due organi che lo difendono appena la politica o la società tentano di risvegliarsi: il Csm previsto dalla stessa Costituzione, ed il sindacato dei magistrati, che, pur essendo “privato”, viene trattato da tutti come se fosse una vera e propria istituzione. Per di più, la magistratura nel suo insieme si oppone alla divisione delle carriere, che sarebbe logica, prima che giusta.
Il problema giustissimo posto da Panebianco, dunque, ha una portata molto più vasta e generale, che investe l’intera nostra società e tutte le nostre istituzioni. Faccio due esempi: il Governo, che pure è continuamente sottoposto alle attenzioni della magistratura, a sua volta sta prevalendo in modo indecente sul Parlamento, il quale non riesce neppure a discutere della più importante legge che ogni anno definisce i paletti finanziari della vita dell’intero Paese e ciò avviene nel silenzio assoluto della più alta autorità. La quale, a sua volta, è più preoccupata di aderire alla “forma” della Costituzione che non ascoltare la volontà del popolo sovrano.
Caro direttore, mi pare che attualmente vi sia un generale “equilibrio perduto dei poteri”, che non riguarda solo il rapporto politica/magistratura (quest’ultima è divenuta la vera padrona del Paese), ma anche altri aspetti fondamentali, per correggere i quali, se il Paese fosse saggio, occorrerebbe convocare una nuova “Costituente” che in breve tempo definisca regole condivise. E occorrerebbe anche che la grande stampa fosse meno “giustizialista”, ma più responsabile. Dico questo, perché l’attuale squilibrio istituzionale sta provocando all’intero Paese gravi danni economici, che finiscono col colpire “il benessere del popolo”, come ebbe a dire una delle poche voci lucide dei tempi di mani pulite.
Peppino Zola
Foto Ansa