D all’ufficio abbonamenti ci comunicano che questa settimana lo sciopero dei trasportatori e i disservizi postali metteranno a dura prova la consegna di Tempi. Ci pare cosa incredibile che l’Italia del 2007 funzioni peggio che il Far West del 1800. Purtroppo così è, se vi pare. Ma qui non c’entra la commedia pirandelliana. Qui c’entra il disastro che sta emergendo anche a livello di senso elementare del lavoro. Non si dovrebbe morire di lavoro e coloro i quali, per colpa o negligenza, non garantiscono la sicurezza del lavoro è giusto che paghino. Però non si può trattare il lavoro come una maledizione, né considerare marchio d’infamia l’attività imprenditoriale, né chiamare i “padroni”, tutti e indistintamente, “assassini”. Questa è roba da matti pericolosi. Che c’entra con il nostro problema di consegne? C’entra perché uno dei tratti tipici di un paese allo sbando dove il lavoro viene ormai considerato tutt’al più come un “male” necessario, si vede anche dal fatto che non si sa più neanche se la corrispondenza verrà consegnata o sarà cestinata (come di recente è accaduto a Monza, dove un solerte impiegato ha “smaltito” in cantina ben settemila lettere e, come ha scritto il settimanale monzese Il Cittadino, lo sventurato ha anche avuto il coraggio di dire che «l’ho fatto per sveltire il servizio»!). Non si sa più neanche se un giornale che paga (e paga profumatamente) un servizio postale di consegna a domicilio, sarà (e chissà quando sarà) effettivamente consegnato all’abbonato. Ecco, siamo nel 2007, la Repubblica italiana dovrebbe essere «fondata sul lavoro», ma non si può più essere sicuri nemmeno che, Costituzione alla mano, art. 15, «La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge». Anche per questo rendiamo grazie a Prodi. Amen.
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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