Lettere al direttore
Pietà o accanimento? Per il piccolo Charlie i nostri baci infiniti
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Pubblichiamo la rubrica delle “lettere al direttore” contenuta in Tempi n. 26 (vai alla pagina degli abbonamenti). Per scrivere ad Alessandro Giuli: [email protected]
Ho letto l’articoletto di Fred Perri nel n. 25 di Tempi dedicato a Capello e tanto per cambiare… all’ingiustizia sportiva subìta dalla Juve nel 2004-2006. A prescindere dalla disquisizione filosofica sul rispettare o meno le sentenze, mi fa sorridere tutto ’sto can can tra chi ancora vive nel passato (come fanno gli anziani ovvero Capello e Perri) e chi (ma chi poi?) si sarebbe scandalizzato delle frasi di Capello. Personalmente e da tifoso nerazzurro, di fronte alle frasi di Capello e alla chiosa finale di Perri, io replico: «E ’sti cazzi!». Invece nel presente il fatto che l’Inter Primavera abbia vinto lo scudetto, che i cinesi incomincino a comprare anche qualche giocatore italiano, mi fa ben sperare per la Beneamata. Purtroppo però per vincere trofei a certi livelli ci vogliono i quattrini con cui comprare anche campioni: la Juve c’ha lo stadio e 10 milioni di tifosi, Moratti dopo essersi dissanguato si è salvato dalla bancarotta grazie agli indonesiani e ai cinesi. Di una cosa però sono sicuro: l’Inter anche con una squadra di rincalzi non avrebbe mai perso una finale di Champions prendendo quattro pere come ha fatto la Juve.
Romeo Ferrini via internet
Il gol di Turone era regolare.
Egregio direttore, nel momento in cui le scrivo i medici del Great Hormond Hospital hanno deciso di staccare la spina a Charlie Gard, dopo che la Corte dei diritti umani del Consiglio d’Europa ha dichiarato di non avere legislazione in materia e le corti inglesi hanno già dato ogni assenso. Vogliono staccare la spina contro il volere dei genitori, in un silenzio assordante (colmato solo negli ultimi giorni) dei media potenti che influenzano le nostre vite ogni giorno a loro piacimento. Non ci sono certezze sulla quantità di dolore di questo bambino che non è nemmeno terminale; soffriva (questo sì) di una malattia degenerativa.
I giudici hanno deciso che una vita con una qualità “bassa” (valutata con quali criteri? Chi decide i canoni?), forse “breve” e forse dall’esito incerto non è degna di essere vissuta. L’hanno deciso dei giudici statali, con parere contrario dei genitori, nominando pure un “Guardian” burocratico a tutela degli interessi del figlio. Il quale Guardian ha deciso che sia interesse del bambino morire. Nel dubbio, il favor mortis ha la meglio sul favor vitae. La vicenda mi attanaglia, mi stimola riflessioni che forse vanno per la tangente e speculano, ma il tutto ha una forza immensa e dovrebbe toccare nel profondo l’animo di ogni cittadino di una liberal-democrazia. Mi pongo nei panni laici e liberali e vedo nella vicenda di Charlie Gard una evidente violazione del diritto alla vita e della libertà, dell’intimità di un nucleo familiare, di una mamma e un papà. Poi non si dica che la questione è solo legale, caso isolato e non profondamente culturale: no, è lo step successivo della “cultura dello scarto” e dell’efficientismo illiberale che rischia in futuro di andare a toccare tanti ambiti delle nostre vite (tutte terminali!) e tante fragilità (tutti siamo fragili).
A febbraio-marzo l’opinione pubblica italiana è stata bombardata dalla tragica vicenda di dj Fabo, per il quale si chiedeva un aiuto a morire tramite eutanasia o, come poi è avvenuto in Svizzera, col suicidio assistito (tanto per tenersi la coscienza pulita). Non si può non vederci un legame, lo si veda pure in antitesi ma lo si veda. Se la giurisprudenza si fonda su una cultura e una filosofia del diritto, allora la cultura in ballo è la stessa, profondamente discriminante per le fragilità e profondamente illiberale. Per di più nel caso Gard si è aggiunta l’aggravante della non terminalità. Insomma, io, Stato, aiuto te dj Fabo (Fabiano Antoniani) nel tuo suicidio o ti propongo anche un buon omicidio, perché tu sei malato grave e debole. Io, Stato, assecondo la tua richiesta di suicidio perché la tua “qualità di vita” è bassa. Però quella stessa richiesta da parte di un depresso gravissimo non posso assecondarla, così come da parte di uno che vuole buttarsi dal ponte (nessuno gli darà la spinta). Sono vite dal valore diverso, fragilità diverse decise da giudici, movimenti politici e filosofici e culturali che ci influenzano e toccano l’intimità in modo spaventoso. Lo Stato, invece di dire “per me siete tutti uguali fino alla fine e quindi non posso assecondare la richiesta di suicidio (o omicidio) di nessuna vita”, inizia a discriminare sui tipi tutti immensi di dolore e sulle qualità. Il mainstream ci bombarda con la parola accoglienza, ma non abbiamo il dovere dell’accoglienza del diverso anche verso Charlie?
Francesco Gerli via internet
Sono “confuso nel bene”, gentile signor Gerli. Sento il dovere di difendere la vita umana oltre ogni dire, e al tempo stesso avverto la sincerità di chi – esperto della materia e pro vita come noi – mi consiglia di non sottovalutare il rischio accanimento. Baci infiniti a Charlie, in ogni caso.
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