Contri: «Per contrastare il sessismo pubblicitario non servono nuove norme, ma autodisciplina dei professionisti»
La replica continuativa di cliché sessisti nelle pubblicità «incoraggia il pensiero unico», scrive il presidente dell’associazione Adci, Massimo Guastini. Per combattere il fenomeno, l’Adci ha promosso una petizione on line che sarà inviata al ministro delle Pari Opportunità, Josefa Idem. Sull’utilità della petizione sono molto dubbiose quelle associazioni, come Pubblicità Progresso, che da quarant’anni si occupano di comunicazione sociale. «Mi pare che si rischi di perseguire risultati controproducenti, sull’onda di una emozione simile a quella provocata da quelle campagne sociali che ti commuovono per un attimo, magari stimolando una sorta di “orgasmo sentimentale”. Dura un attimo e poi tutto finisce», spiega il presidente Alberto Contri.
I sottoscrittori della petizione sono già molte migliaia. Che cosa chiedono?
Secondo me, tutto ciò che non occorre all’Italia e al mercato pubblicitario: nuove regole, leggi, norme. Non dimentichiamo che tutto si può risolvere potenziando il già ottimo Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria che ci invidiano in tutto il mondo. Perché dovrebbero essere fatte nuove norme che sono difficilmente definibili? Abbiamo in mente ad esempio “il comune senso del pudore”? E poi non dimentichiamo che in Italia, oltre all’Autodisciplina, ci sono oltre otto enti che hanno giurisdizione sulla pubblicità scorretta o ingannevole, dall’Antitrust all’Agcom.
Gli estensori della petizione dicono che non bastano le norme attuali.
Per contrastare il sessismo pubblicitario non servono proprio nuove norme, ma autodisciplina dei professionisti. Semmai sul tema della donna (anche in pubblicità) serve una campagna su larga scala, che coinvolga sia il pubblico che clienti e agenzie, in un progetto di ampio respiro. Che stimoli una riflessione e ad agire. Il volontariato in comunicazione fatto bene richiede lavoro quotidiano, le petizioni (come le pubblicità fondate sull’appagamento di un attimo), oltre che a venir presto dimenticate, possono persino portare all’introduzione di nuovi stereotipi.
A quali nuovi stereotipi si riferisce?
Per esempio a quello che vede la donna che non diventa una ricercatrice, una manager o un capo di Stato, perché magari ha il “torto” di fare la casalinga, come se fosse una fallita. Questo è quello che fa pensare la campagna anti-sessista promossa dall’Adci, che pure è fatta assai bene dal punto di vista tecnico e creativo.
Madri e casalinghe. Chi ha presentato la petizione li ha definiti «ruoli gregari, ancillari, decorativi».
Sono affermazioni assurde che fanno capire quanto i nuovi stereotipi siano già radicati. Il presidente di Adci dovrebbe prestare più attenzione a quello che dice. Proprio in un volume dell’ADCI Pasquale Barbella, che è stato uno dei migliori direttori creativi italiani, ricorda che le campagne sono sempre frutto di due genitori: cliente e agenzia. E che c’è una sterminata tavolozza di colori a disposizione… mentre qui mi pare addirittura che si vogliano dare direttive su quali debbano essere i colori giusti. Fare la madre è meno importante che fare il dirigente d’azienda? Consiglierei a Guastini la lettura di “Noi che costruiamo gli uomini” di Luisella Costamagna: una raccolta di storie di donne che hanno fatto le scelte più diverse, anche opposte, ma presentate senza alcun filtro ideologico.
Quali altri stereotipi sono presenti nelle campagne di “sensibilizzazione”?
Per esempio quello della famigliola gay felice, tutta focolare domestico. Non si capisce perché la famigliola stile Barilla va demonizzata, mentre la stessa in versione gay va osannata. Non ho nulla contro i diritti di chi fa scelte particolari ma proprio in questo caso si capisce quanto sia volatile la lotta agli stereotipi, se poi, in nome di un pericoloso relativismo etico, se ne intendono proporre altri. Ci si può sgolare finchè si vuole, ma sino a prova contraria la specie umana si riproduce grazie all’incontro tra un uomo e una donna, mentre tonnellate di psicologi ricordano quanto è importante nella crescita di un essere umano equilibrato la presenza di figure genitoriali di sesso diverso, che siano madre e padre. Sicuramente ci possono essere eccezioni, ma volerle proporre come “normalità” è una semplice forzatura ideologica e culturale. Altra faccenda è il riconoscimento dei diritti di chi ha comunque voluto fare la sua scelta personale. Il tutto per dire che sono temi delicati che non si risolvono a base di petizioni.
Perché l’Adci ha promosso questa campagna?
Probabilmente dopo l’incremento allarmante di femminicidi e la presa di posizione della Presidente Boldrini. Ma ha agito unilateralmente. L’associazione guidata da Guastini ha lasciato Pubblicità e Progresso non ritenendo una priorità, visto che è in crisi finanziaria come molte altre in questo momento, pagare la sua quota annuale. Se fosse ancora dentro la Fondazione, saprebbe che con un grande sforzo collettivo stiamo lavorando ad una grande campagna sul tema del “mainstreaming di genere” che sia “pro” e non “contro”. Un grande progetto cui partecipano attivamente tutti i soci di Pubblicità Progresso (Utenti pubblicitari, agenzie pubblicitarie, mezzi, concessionarie, editori, istituti di ricerca di mercato, lo stesso Istituto di Autodisciplina) e nel quale stiamo coinvolgendo giornalisti, sociologi, accademici, autori di teatro e altri ancora, che si impegnano a farsi veicoli della campagna oltre che a dare consigli su come farla. Costruiremo un portale nel quale raccogliere tutte le iniziative a favore di un migliore ruolo della donna nella società, cercando di fare massa critica. Per questo troviamo che singole iniziative, anche le più lodevoli, non siano utili al raggiungimento di un vero risultato.
Guastini sul blog dell’Adci ha scritto contro Pubblicità e Progresso: «Perché c**o” buttiamo nel c***o” questi soldi quando da anni le più importanti campagne sociali le facciamo noi soci Adci». Non è un po’ strano che chi si erge a paladino contro la violenza usi questi toni nei confronti di un’altra fondazione per la comunicazione sociale?
Eviterei le liti da pollaio. Spero che per “campagne sociali” Guastini non intenda le strumentalizzazioni del dolore fatte spesso e volentieri da Oliviero Toscani. Per quanto riguarda la qualità delle nostre campagne, è di ieri la notizia che il Creative For Good, un bel progetto del World Economic Forum che intende raccogliere in un portale i migliori esempi del mondo di comunicazione sociale, ha selezionato tra oltre 100 inviati la nostra attuale campagna sulla donazione degli organi. Il progetto verrà presentato al Festival del Film Pubblicitario di Cannes il prossimo 21 giugno, insieme ad alcuni esempi di assoluta qualità, tra cui la nostra campagna. Di fronte ad un tale riconoscimento, direi che le chiacchiere di Guastini stiano proprio a zero.
Sul fronte della politica, che ne pensa delle dichiarazioni di Laura Boldrini, secondo cui tutta la pubblicità italiana sarebbe sessista?
Temo che abbia reagito più su impressioni che su dati oggettivi. Volevamo giusto chiederle di incontrarla per presentarle il nostro progetto. Nel merito, a noi risulta che le campagne “sessiste” non raggiungano il 2% del totale. Certo, se poi qualcuno sostiene che la bambola Barbie propone una cultura sessista…allora dobbiamo ridiscutere proprio tutto, e non ne veniamo più a capo. E poi forse, prima che in pubblicità, ci sono responsabilità assai maggiori nei programmi tv. Faccio mio volentieri un aforisma di Aldo Grasso: “La bella pubblicità è molto meglio di tanti programmi cotti e mangiati che le stanno intorno”. Per questo ci vuole un impegno collettivo, ed è proprio quello che stiamo facendo con il gesto di gratuità professionale della comunità dei comunicatori riunita in Pubblicità Progresso. Con buona pace di chi vuole stare da solo.
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