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Periferie esistenziali. Incontrare Cristo in Siberia nella fredda steppa

Ha resistito al freddo, alla fame, ai bolscevichi, a Stalin. Le sue chiese sono state distrutte, ma Lui non se n’è mai andato. È rimasto nei paesi più sperduti. Nel cuore degli anziani e poi in quello dei loro figli e nipoti. Fino a Igor

Igor Turnaev
02/08/2014 - 2:00
Società
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cristiani-chiesa-siberia

Continua il viaggio di Tempi nelle periferie esistenziali. Le tappe precedenti: Rodolfo Casadei tra Camerun e Ciad nella regione dei tupurì africani, Monica Mondo in una borgata romana, Piero Gheddo nella missione di padre Belcredi in Amazzonia, Gian Micalessin a Shura Ashuk (Tripoli) con suor Emma Moja, Antonio Gurrado a Oxford, Angelica Calò Livné in Israele, nel kibbutz Sasa, Lorella Beretta nelle township del Sudafrica, Peppe Rinaldi tra le contadine di Eboli.

Ho trascorso la mia infanzia in un villaggio chiamato Suzdalka, nel distretto di Dovolenskyi (Novosibirsk), paese natale di mio padre. Il paesaggio intorno al villaggio era un misto di boschi e steppa: grandi praterie aperte si alternavano a boschetti di betulle e pioppi, in mezzo ai quali erano disseminati centinaia di laghetti nei quali viveva un’incredibile quantità di oche selvatiche e anatre.

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cavalloA Suzdalka abitavano circa 1.100 persone. A quell’epoca per arrivare a Novosibirsk ci volevano 12 ore di viaggio: due autobus e poi un treno. D’estate noi bambini passavamo l’intera giornata in mezzo ai laghetti, tanto che spesso mia madre doveva ricacciare a casa me e i miei fratelli minori (nati a Suzdalka), servendosi di rametti di ortica che bruciavano maledettamente!

Nel villaggio c’era un sovkoz (fattoria collettiva, ndr) dove lavoravano mio padre e mia madre: lui era trattorista e fabbro, lei mungitrice e addetta ai vitelli. Il sovkoz era di proprietà statale e più che una fattoria era organizzata come una fabbrica. Fino alla Rivoluzione del 1917 nei villaggi i contadini potevano lavorare i propri appezzamenti, poi i bolscevichi prima e la politica di Krusciov dopo, hanno confiscato ogni bene privato, persino il bestiame che le famiglie possedevano per i generi di prima necessità. Tutto doveva essere acquistato nei negozi di città. Ma Krusciov aveva dovuto fare i conti con la tenace resistenza dei contadini a queste leggi.

Vista la loro testardaggine, il suo successore Breznev decise di lasciar loro delle piccole proprietà, così che gli abitanti delle campagne potessero mantenersi anche con i prodotti dell’orto. Lo stipendio del sovkoz dipendeva dai risultati produttivi. Nel distretto di Dovolenskyi c’erano una ventina di sovkoz, di cui solo 3 o 4 pagavano gli operai dignitosamente. In casa, grazie ai prodotti dell’orto riuscivamo a nutrirci molto bene, ma non avevamo quasi mai soldi per comprare altri beni. Ad esempio, il pane non era sempre in tavola. E le volte che riuscivamo a permettercelo occorreva fare una lunghissima fila per comprarlo.

i bambiniDomenica, giorno di festa
Mi piaceva molto passare la notte dai nonni paterni. È uno dei ricordi d’infanzia più luminosi. Mi svegliavo al mattino, affondavo nel grosso pagliericcio di piume, i primi raggi del sole penetravano attraverso le persiane semichiuse. Amavo tantissimo quella casa: aveva un giardino, un orto con un pozzo da cui si traeva un’acqua buonissima e gelida che tagliava i denti. Mangiavo 3o 4 scodelle di zuppa di barbabietole (il borsch) oppure, quando c’era, il pane con la marmellata di lamponi. Spesso, la sera, dalla nonna si radunavano altri anziani, che bevevano un po’ di vodka o altri liquori casalinghi, giocavano a carte e poi cantavano le canzoni della tradizione popolare. Avevano un modo di cantare particolare.

Non ho più sentito nessuno cantare così intensamente, nemmeno i migliori gruppi folcloristici. La chiesa del paese era stata distrutta durante la Rivoluzione, ma gli anziani erano riusciti a trasmettere ai loro figli qualcosa di speciale, quella sensibilità particolare a riconoscere la bellezza e la giustizia tipica della cultura ortodossa. La responsabilità dell’educazione morale nel villaggio era affidata agli anziani: erano loro a dire ai giovani cosa si doveva fare e come, dove stava il bene e dove il male.

All’età di 15 anni, con tutta la famiglia ci siamo trasferiti in una cittadina molto più vicina a Novosibirsk. Mi accorsi subito che lì i costumi morali erano peggiori: le persone rubavano, si ubriacavano, scoppiavano risse, per molta gente c’era solo un pensiero, dove trovare da bere. In quei luoghi l’educazione non era affidata agli anziani. Per questo dalle città arrivava la peggior degradazione morale. Per fortuna, tutti i sabati tornavamo dai nonni per fare la sauna. Non certo per curare la nostra bellezza. Era una tradizione ben precisa, con un senso: la domenica era giorno di festa, si andava in chiesa con l’abito migliore. Quindi il sabato bisognava lavarsi bene per incontrare Cristo con anima e corpo purificati. La chiesa nel villaggio non c’era più da un pezzo, ma la tradizione e il credo cristiano erano rimasti.

il villagio 2Il servizio militare
Dopo la fine della scuola dell’obbligo, ho lavorato anch’io un paio d’anni nel sovkoz, e poi mi sono arruolato in Marina. Terminati i tre anni di leva obbligatoria sono tornato al villaggio, ho lavorato come fabbro per un anno, poi mi sono iscritto all’università di Novosibirsk, alla facoltà di Biologia. Di tutti gli abitanti dei due villaggi in cui sono cresciuto, sono stato l’unico a frequentare quella prestigiosa università. Ma il servizio militare aveva cambiato il mio sguardo sulla vita. Ancor prima di iscrivermi, per la prima volta mi ero imbattuto in modo chiaro nella religione. Al termine del servizio militare avevo provato un profondo senso di solitudine, mi sentivo incompreso da chiunque.

Fu allora che mio cugino, che stava a Novosibirsk, mi invitò a un incontro organizzato da una giovane comunità protestante, la “Chiesa di Cristo”. In quel gruppo tutti si chiamavano l’un l’altro “fratello e sorella”. Grazie a quelle persone ho cominciato a leggere la Bibbia, il Nuovo Testamento. E ne rimasi colpito. Ho pianto leggendo il Vangelo. Ma col tempo mi sono accorto che lo stare insieme di quelle persone era un po’ artificioso. Tante parole sull’amore, ma di amore vero non ce n’era. Così ho smesso di frequentarli. Ero rimasto deluso, ma non di tutto. La fede era rimasta, ma Cristo era semplicemente qualcosa che bisognava stimare, venerare da lontano. Ma sentivo che tutto ciò non poteva bastarmi.

le babushkeQuelle persone in università
Studiare all’università è stato difficile, soprattutto all’inizio, perché nei cinque anni passati per il servizio militare e il lavoro nel sovkoz avevo dimenticato tutto quello che avevo imparato a scuola. Sono entrato all’università quando la perestroika era all’apice. Quando ho cominciato, il sussidio che gli studenti ricevevano era superiore allo stipendio di un operaio del nostro sovkoz, ma già dal mio secondo anno di corso tutto era cambiato e il sussidio era diventato miserevole. Come tutti gli altri studenti cominciai a lavorare: vendevo materiali di cancelleria agli uffici amministrativi del Distretto. Stavo via qualche giorno e coi soldi guadagnati riuscivo a mantenermi e a studiare per un mese. Mia mamma poteva aiutarmi solo con qualche genere alimentare, mio padre invece ignorava me e i miei fratelli.

All’università conobbi una ragazza della facoltà di Lettere. Io avevo 25 anni, lei 17. Fra di noi ci fu una mezza storia, simile a tante altre. All’inizio non ero troppo convinto. Dopo 6 mesi, quando i miei sentimenti erano cambiati e mi ero accorto di volerle davvero bene, era già troppo tardi.

In quei primi anni di università avevo ancora i nervi scossi, probabilmente  per quanto vissuto durante la leva militare: spesso avevo attacchi di panico, altre volte, al contrario, un coraggio temerario. Avevo cercato diverse terapie psicologiche per risolvere questo problema, ma nulla sembrava fatto per me. Cristo, quella figura che lentamente avevo imparato a conoscere quando partecipavo agli incontri della comunità protestante, era l’unica persona capace di combattere la paura, indipendentemente dai fattori esterni.

campo 3Raccontai di questa mia convinzione a quella ragazza, con cui i rapporti si erano ormai quasi interrotti. Lei però rimase molto colpita dal fatto che io mi interessassi del cristianesimo (prima non ne avevamo mai parlato) e mi propose di incontrare certi suoi amici che vivevano un’esperienza cristiana. Si trattava di alcuni insegnanti di lingua italiana, appartenenti al movimento di Comunione e Liberazione. Iniziai ad andare ai loro incontri che chiamavano scuola di comunità. Si tenevano in università. La prima cosa che mi colpì era che da quella gente mi sentivo capito; era la prima volta nella vita che mi capitava. Non percepivo nessun distacco tra ciò che dicevano e quello che pensavo e dicevo io. Dopo un mese mi invitarono a una vacanza, alla fine della quale ci fu un’assemblea dove ciascuno disse quello che gli era successo in quei giorni passati insieme. Io dissi che in tutta la mia vita avevo sempre avuto il presentimento che al mondo ci fosse un posto predestinato a me, e in tutte le mie esperienze passate lo avevo cercato senza successo. Ora l’avevo trovato. «Questo luogo è qui, tra voi».

Lì è cominciato quell’incontro che seguo da ormai 19 anni. Non mi era ancora chiaro quello che mi stava accadendo. Solo ora, dopo 19 anni posso dire che quell’incontro mi ha cambiato la vita. Ho incontrato uno sguardo umano, persone concrete che mi hanno accolto nella mia totalità. Ci sono dei tratti della mia personalità per i quali uno può stimarmi. Ma ce ne sono altri che non interessano a nessuno o possono sembrare un ostacolo. Invece, all’improvviso, mi sono imbattuto in uno sguardo che mi ha abbracciato completamente, e che di me non vuole eliminare nessun tratto distintivo. Che cosa posso desiderare più di tutto questo?

È Cristo che mi ha guardato attraverso lo sguardo dei miei amici, come ha guardato Zaccheo seduto sull’albero, o Matteo che riscuoteva le tasse. Uno sguardo capace di vedere in me alcune caratteristiche che io stesso non avevo mai notato. Solo dopo aver incontrato queste persone ho cominciato a capire che anche io ho un valore infinito. E questo ha rovesciato totalmente la mia vita. È stato l’inizio di un cammino che prosegue ancora oggi. Quella ragazza che mi aveva fatto incontrare le persone del movimento di Comunione e Liberazione dopo un paio d’anni se ne è andata. Io sono rimasto.

Tags: BreznevComunione e LiberazionecristokrusciovNovosibirskperiferie esistenzialirivoluzione russaunione sovietica
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