Perché Turchia e Siria hanno ripreso a parlarsi (c’entra la Russia)

Di Rodolfo Casadei
23 Settembre 2022
Putin vuole concentrarsi sull'Ucraina senza rischiare di subire un attacco nel Vicino Oriente. Erdogan deve sbarazzarsi dei profughi siriani. Damasco non si fida, ma sogna di riconquistare la sovranità sul proprio paese
Turchi e americani pattugliano insieme il nord della Siria

Turchi e americani pattugliano insieme il nord della Siria

Dopo un decennio di rottura dei rapporti, i governi di Turchia e Siria hanno ricominciato a parlarsi, e la Russia non è estranea a questa grossa novità. La stagione delle Primavere arabe iniziata nel 2011 ha causato la rottura delle relazioni diplomatiche fra due paesi che dopo l’accordo di Adana del 1998, concluso ai danni del Pkk curdo, filavano d’amore e d’accordo. A partire dal 2012 Ankara ha preso ad armare, ospitare e proteggere i gruppi armati che hanno cercato di deporre il regime di Damasco. Erdogan ha definito Assad un terrorista per gli atti compiuti contro gli oppositori e ha dichiarato che non poteva esserci pace in Siria con lui in carica, Assad ha ricambiato le accuse di terrorismo e ha definito Erdogan un «ladro» per aver «rubato» la terra siriana, cioè per avere occupato con il suo esercito aree del nord-est della Siria e dell’Idlib.

Le posizioni di Siria e Turchia

Da alcune settimane, però, è notizia confermata da varie fonti che i due massimi responsabili dei rispettivi servizi segreti, cioè il turco Hakan Fidan e il siriano Ali Mamluk, si stanno incontrando non solo per scambiarsi informazioni utili alla reciproca sicurezza, ma per preparare il terreno a un incontro fra i ministri degli Esteri dei due paesi. Già nel luglio scorso i due 007 si erano incontrati a Mosca dove, con la mediazione della diplomazia russa, avevano cominciato a lavorare a un accordo fra i due paesi. I successivi appuntamenti, il cui numero complessivo non è noto, si sono svolti sia ad Ankara che a Damasco, dove Mamluk ha ricevuto Fidan anche la settimana scorsa. I termini del negoziato sono chiari a tutti: le principali richieste siriane sono che la Turchia rispetti la sovranità della Siria, presenti un calendario per il ritiro delle sue truppe dalle regioni occupate e cessi di sostenere le fazioni dell’opposizione armata.

Le principali richieste della Turchia sono che il regime siriano intraprenda un’azione seria contro il Pkk e il suo ramo siriano, le Unità di difesa popolare (Ypg) che sono la spina dorsale delle Fds sostenute dagli Usa, mantenga la cooperazione di intelligence con la Turchia, svolga negoziati con le fazioni dell’opposizione che godono del sostegno turco per promuovere libere elezioni e faciliti il ritorno dei profughi siriani dalla Turchia (3,7 milioni di persone). La distanza fra le rispettive posizioni è certamente grande, ma il fatto che nel giro di meno di due mesi si sia passati dalle dichiarazioni aperturiste di Erdogan e del suo ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu a un fitto scambio di visite fra i due massimi responsabili della sicurezza interna dei rispettivi paesi, fa pensare che dietro le quinte si stia muovendo qualcosa di importante.

«Non vogliamo rimanere in Siria»

Ad avviare gli approcci è stata la Turchia, che li ha resi indirettamente pubblici attraverso le parole dei suoi esponenti di vertice. Il 19 agosto scorso, di ritorno da una visita in Ucraina, Erdogan dichiarava: «Non abbiamo l’ambizione di rimanere sul suolo siriano. Il popolo siriano è nostro fratello. Attribuiamo importanza all’integrità del territorio siriano e il regime dovrebbe capirlo. Dobbiamo lanciare misure avanzate nei confronti della Siria in modo da attuare molti piani in questa parte del mondo musulmano. Non miriamo alla sconfitta di Assad».

La settimana prima, nel corso di una conferenza stampa il ministro degli Esteri Cavusoglu aveva rivelato di avere avuto un incontro col ministro degli Esteri siriano Faisal al Miqdad il 21 ottobre 2021, ai margini della conferenza dei paesi non allineati che si era tenuta a Belgrado, e aveva aggiunto: «Dobbiamo trovare un accordo tra l’opposizione siriana e il regime, in un modo o nell’altro, altrimenti non ci sarà una pace duratura». Come poi avrebbe fatto Erdogan, aveva sottolineato che la Turchia non aveva alcun interesse a impadronirsi di territorio siriano e aveva aggiunto che la Russia cercava di mediare tra Turchia e Siria e che i due paesi hanno recentemente rinnovato la loro cooperazione di intelligence.

Il dialogo necessario tra Ankara e Damasco

Erdogan e Cavusoglu sarebbero poi tornati sull’argomento il 22 e il 23 agosto. Il presidente con la dichiarazione che la Turchia cerca di «stabilire una zona di pace e di cooperazione intorno ai suoi confini, a cominciare dai suoi vicini più prossimi. (…) Non nutriamo ostilità verso nessun paese e vogliamo stabilire relazioni eccellenti con tutti i paesi», il suo ministro con l’affermazione che la Turchia non poneva precondizioni al dialogo con Damasco.

Le reazioni siriane alle profferte turche sono state negative e improntate allo scetticismo per alcune settimane. Lo stesso 23 agosto da Mosca il ministro degli Esteri Al Miqdad ammetteva che Russia e Iran stavano lavorando a un riavvicinamento fra Siria e Turchia, ma dichiarava che era impossibile «fidarsi di coloro che hanno sponsorizzato e sostenuto il terrorismo», e che i rapporti potevano essere riallacciati solo se prima la Turchia metteva fine all’occupazione delle aree del nord della Siria e smetteva di «sostenere il terrorismo e di interferire negli affari interni siriani».

Nei giorni precedenti nel coro della stampa siriana che snobbava i segnali da Ankara faceva eccezione il commentatore specialista di questioni turche Abu Abdallah, che sul quotidiano filo-governativo Al Watan evocava la necessità ineluttabile del riavvicinamento fra i due paesi. «Si aprirà la porta del dialogo siro-turco? La mia risposta è sì, perché aprirlo e intrattenere un dialogo diretto tra i due paesi è nell’interesse di entrambi, e anche nell’interesse della regione. L’obiettivo, ovviamente, è che la Siria raggiunga i suoi diritti legittimi e giusti. Come può essere ottenuto? Questo dipende dalla leadership siriana, della cui professionalità e pazienza ci fidiamo. Dopotutto, le tragedie accumulate in Siria non possono essere risolte in una telefonata tra i capi di Stato, come alcune persone si illudono. Ma un viaggio di mille miglia inizia con un passo, e credo che questo passo non sia lontano».

I problemi di Erdogan e Putin

Cosa c’è dietro questi contatti, impensabili fino a pochi mesi fa? Sostanzialmente, lo stato di necessità in cui si trovano sia la Russia di Putin, che dal 2015 è militarmente presente in Siria e ha di fatto salvato il regime da una probabile sconfitta, sia la Turchia di Erdogan, ancora oggi sponsor dei gruppi armati siriani antiregime che combattono al suo fianco contro le Fds e protettrice di fatto dei jihadisti arroccati nell’Idlib. Il problema della Russia è di non essere “attaccata alle spalle” in Siria mentre il grosso delle sue forze è impegnato nella complicatissima campagna d’Ucraina.

Il problema di Erdogan è di tranquillizzare l’opinione pubblica turca mentre si avvicinano le elezioni politiche del giugno 2023: la presenza di 3,7 milioni di profughi siriani sul territorio turco e gli interventi militari dell’esercito nella confinante Siria dove fra il 2016 ed oggi hanno perso la vita poco meno di 300 soldati sono temi per nulla popolari nel paese, sfruttati praticamente da tutti i partiti di opposizione (a cominciare dai kemalisti del Chp) per attaccare il governo e promettere che con una loro vittoria alle prossime elezioni i profughi saranno rimandati in Siria e le forze armate torneranno a casa.

Erdogan ha bisogno di un clima di distensione con la Siria per dimostrare all’opinione pubblica che sta seriamente lavorando per creare le condizioni per il rimpatrio dei profughi in una Siria pacificata e il ritiro delle truppe turche dal paese; Putin ha bisogno di non doversi preoccupare di quello che succede in Siria mentre cerca di salvare la partita in Ucraina. Perciò è legittimo il timore che dopo una eventuale vittoria di Erdogan alle elezioni o dopo una eventuale soluzione del conflitto ucraino Mosca e Ankara tornino a trattare il dossier siriano nei termini consueti: un campo di battaglia irrinunciabile per i rispettivi progetti di egemonia nel Vicino Oriente. 

@RodolfoCasadei

Foto Ansa

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