Perché l’Oms ha deciso che la disforia di genere non è più una malattia
I media italiani hanno preferito concentrarsi sull’ingresso della “dipendenza da videogiochi” nella nuova revisione dell’International Classification of Diseases (ICD-11), l’enciclopedia ufficiale delle malattie stilata dall’Organizzazione mondiale della sanità. Probabilmente, però, avrà conseguenze ben più importanti il fatto che nel nuovo manuale disgnostico dell’Oms è stata ufficialmente rimossa la disforia di genere dall’elenco dei “disordini mentali”, un cambiamento annunciato già un anno fa e ora confermato dal voto della 72esima World Health Assembly. Gli Stati membri, si legge su sito ufficiale dell’Oms, cominceranno a rispondere dell’uso che faranno del nuovo manuale a partire dal 2022.
Per comprendere dove intende andare a parare l’Oms con questa modifica, basta leggere l’articolo-commento di una importante organizazzione internazionale come Human Rights Watch.
Si legge nell’articolo:
«Il 25 maggio 2019 (…) la World Health Assembly, l’organo direttivo dell’Oms che rappresenta i 194 stati membri, ha votato a favore di nuove linee guida diagnostiche che non definiscono più la non-conformità di genere come un “disordine mentale”.
Storicamente, molti sistemi sanitari, compresi quelli sostenuti dall’Oms, hanno sempre categorizzato l’essere transgender come un disturbo mentale. Ma l’evolversi delle conoscenze scientifiche riguardo al genere e l’instancabile azione degli attivisti transgender in giro per il mondo sono stati determinanti per portare a termine questo sviluppo».
«I GOVERNI SI ADATTINO»
Esulta il responsabile dei diritti Lgbt di Human Rights Watch. Graeme Reid:
«La rimozione da parte dell’Oms del “disordine dell’identità di genere” dal suo manuale diagnostico avrà un effetto liberatore sulle persone transgender in tutto il mondo. Adesso i governi riformino rapidamente le leggi e i sistemi sanitari nazionali che richiedono questa diagnosi ormai ufficialmente superata».
Ancora più chiaramente: secondo Human Rights Watch, il fatto che la cosiddetta disforia di genere sia stata «spostata dall’elenco dei “disordini mentali” a un capitolo sulla salute sessuale» chiama i governi del pianeta a sbarazzarsi delle varie «misure discriminatorie che richiedono una diagnosi e talvolta altre procedure sanitarie perché le persone transgender siano legalmente riconosciute». Il riferimento esplicito è alla possibilità di cambiare il proprio nome e il sesso nei documenti ufficiali.
MEDICI E ATTIVISTI LGBT «CONCORDI»
C’è un «ampio consenso diffuso tra medici e psicologi» – insiste Human Rights Watch – riguardo alla tesi secondo cui non sarebbe un disordine o una malattia sentirsi appartenenti a un genere diverso da quello assegnato alla nascita. E a riprova di quanto tale ampio consenso scientifico sia «concorde con la visione dei sostenitori dei diritti transgender», l’organizzazione accosta due diverse reazioni alla notizia. La prima è quella del dottor Jack Drescher, membro del gruppo di lavoro che ha elaborato l’ICD-11:
«Ci sono prove sostanziali del fatto che lo stigma provocato dall’associazione tra condizione transgender e disordini mentali contribuisce a creare condizioni legali precarie e violazioni dei diritti umani».
L’altra è di nuovo la voce di Reid:
«Sono lo stigma, la discriminazione e il bullismo – e non quanto comporta la non-conformità di genere – che possono infliggere i problemi di salute mentale nelle persone transgender».
MA LE CURE RESTINO «ACCESSIBILI»
Human Rights Watch precisa poi che la decisione di depennare la disforia di genere dall’elenco dei disturbi mentali deve sì convincere gli Stati a semplificare le «procedure amministrative» per il riconoscimento legale delle persone transgender, tuttavia questo aspetto «deve rimanere separato» da quello sanitario. Si tratta di una precisazione non secondaria, innanzitutto per via delle sue evidenti implicazioni economiche: «Se il processo di transizione di una persona richiede interventi medici, tali servizi devono essere disponibili e accessibili». Possibilmente passati dalla mutua.
Nel 2012 l’altra “bibbia” della psichiatria mondiale, il DSM curato dall’Apa (American Psychiatric Association), aveva rimosso dalle malattie mentali il “disordine dell’identità di genere” per includere invece proprio la “disforia di genere”, definita però come il disagio provato da una persona rispetto al sentimento di mancata corrispondenza tra il proprio genere percepito e quello assegnato.
OBIETTIVO: «CAMBIARE RADICALMENTE CONCEZIONE»
Ora l’Oms sembra volersi inoltrare sulla medesima strada. Compiendo un altro passo verso il coronamento del disegno messo nero su bianco nel 2004 da Judith Butler in Undoing Gender (La disfatta del genere). In un passaggio, la filosofa della teoria del gender mette a fuoco precisamente il paradosso della presunta «pressione sociale» esercitata dalla diagnosi della condizione transgender come malattia mentale, e della sua contemporanea necessità ai fini di ottenere sostegno economico per l’eventuale transizione sessuale:
«È possibile quindi affermare che la diagnosi allevia la sofferenza, ma è anche possibile e d’obbligo sottolineare che essa può anche aumentare quella sofferenza che chiede di essere alleviata. Nell’attuale situazione sociale, in cui le norme di genere sono ancora articolate secondo modi convenzionali, e viene guardato con sospetto ciò che si discosta dalla norma, l’autonomia non può che rimanere un paradosso. Certamente si può andare in un paese dove lo Stato sosterrà economicamente l’intervento chirurgico di riattribuzione sessuale, o ricorrere al “fondo transgender” che una comunità più tollerante mette a disposizione di coloro che non possono affrontare spese elevate, oppure chiedere una “sovvenzione” a chi copre la “chirurgia cosmetica”. È, e sarà, sicuramente di aiuto il movimento a favore del trans in veste di terapeuta e diagnosta. Si tratta di modi per aggirare l’ostacolo, fino a quando l’ostacolo non sarà eliminato, ma qualora ciò avvenga in tempi lunghi, le norme che governano il modo di concepire la relazione tra identità di genere e salute mentale dovrebbero subire un cambiamento radicale, in maniera che le istituzioni economiche e legali riconoscano quanto sia essenziale l’acquisizione di un genere ai fini del senso stesso della propria personalità, del proprio senso di benessere, della propria prosperità fisica».
Foto Ansa
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