Perché la Cgil è andata alla battaglia (ideologica) sui voucher

Di Francesca Parodi
17 Marzo 2017
È controproduttivo abolirli, semmai sarebbe utile ripensarli. Intervista a Francesco Seghezzi (Adapt)

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I voucher come nuovo simbolo del precariato e dello sfruttamento dei lavoratori costituiscono la nuova bandiera della Cgil. I buoni utilizzati per pagare prestazioni lavorative occasionali, acquistabili online, dal tabaccaio, in posta o in alcune banche, sono stati definiti da Susanna Camusso uno «strumento malato» che «va abolito», in quanto «il loro abuso determina una sommersione anziché un’emersione del lavoro nero e irregolare». Il principale sindacato italiano ne ha quindi chiesto l’abolizione attraverso un referendum, fissato dal Consiglio dei ministri il 28 maggio (la votazione comprende anche un quesito molto tecnico e complesso sugli appalti). Ora la Commissione Lavoro della Camera ha approvato l’eliminazione totale, votando a favore dell’emendamento che abroga gli articoli 48, 49 e 50 del Jobs Act dedicati al lavoro. Il Governo nel consiglio dei ministri di oggi dovrebbe tradurre in decreto la decisione della commissione, disinnescando così il referendum. Fino al 31 dicembre è previsto un periodo transitorio in cui si potrà continuare ad utilizzare i buoni lavoro già acquistati.

[pubblicita_articolo allineam=”destra”]COSA SONO. Introdotti per la prima volta nel 2003 con la legge Biagi durante il secondo governo Berlusconi, il Jobs Act ne aveva modificato il funzionamento e ora la Cgil addita i buoni lavoro come emblema del fallimento della riforma di Renzi. Ma questi voucher sono davvero così deleteri? «Si tratta certamente di uno strumento utile in certe situazioni, per esempio, nel mondo del commercio: se un ristorante con un proprio organico si trova all’ultimo momento senza un cameriere, piuttosto che far lavorare un’altra persona in nero, può comodamente usare i voucher per pagare un sostituto temporaneo», spiega Francesco Seghezzi, responsabile della comunicazione e delle relazioni esterne di Adapt e direttore di Adapt University Press. «Un altro ambito è quello dei servizi alla persona: le baby sitter, le ripetizioni, le pulizie di casa erano tutti lavori che venivano (e vengono spesso ancora oggi) pagati in nero. Il lavoro irregolare, anche se non se ne parla molto, costituisce uno dei problemi principali dell’economia del nostro paese».

CHI LI USA. L’impiego dei voucher è stato pensato soprattutto per quelle fasce d’età che più si prestano a lavoretti occasionali, cioè i giovani che ancora studiano e gli anziani che magari vogliono arrotondare la pensione. «Ma la situazione è abbastanza variegata e c’è una diffusione massiccia di buoni anche nella fascia centrale d’età». Esiste quindi effettivamente il rischio di un abuso dei voucher, come sostenuto dalla Cgil? «Sì, perché ogni cosa può prestarsi ad abusi. Nel settore dell’edilizia, per esempio, le stesse associazioni di costruttori chiedono di non utilizzare i voucher perché c’è un’autocoscienza del loro uso, sbagliato, per tagliare i costi del lavoro».

SBAGLIATO ABOLIRLI. Ma il vero problema, sostiene Seghezzi, è all’origine: «Si è registrato un importante incremento di utilizzo dei buoni nel momento in cui sono state eliminate altre forme di flessibilità, come i contratti a progetto, i Cococo o i Cocopro. Il Jobs Act ha cancellato tutto questo nell’utopia di promuovere i contratti a tempo determinato o comunque subordinato, e gli unici strumenti validi per remunerare regolarmente lavori temporanei sono rimasti i voucher. Un loro abuso, oltre che per ovvie cattive intenzioni, è anche dovuto alla mancanza di altre forme contrattuali flessibili. Quindi, a mio parere, affrontare oggi una discussione sull’eliminazione dei voucher senza pensare alle esigenze del tessuto produttivo non ha senso, perché rischiamo di aumentare nuovamente il lavoro in nero». Secondo Seghezzi dunque, è controproduttivo abolire i voucher, semmai sarebbe utile ripensarli: «Si potrebbero fissare dei limiti, per esempio vincolando il loro uso ad una percentuale limitata di ore lavorative».

0,23 PER CENTO. Bisogna però notare che, a fronte dell’importante mobilitazione della Cgil, ad oggi i voucher sono ancora troppo poco utilizzati: rappresentano solo lo 0,23 per cento del totale del costo del lavoro in Italia. «Si tratta quindi di un fenomeno minoritario che è diventato una grande battaglia ideologica dei sindacati per colpire il Jobs Act e Matteo Renzi, che pure non ha apportato modifiche troppo massicce sui voucher. Evidentemente, si tratta di un’appendice della vera battaglia, cioè quella sull’articolo 18, su cui però non è stato ammesso il referendum. Il sindacato ha quindi spostato il fronte di combattimento sui voucher, un argomento di immediata presa, e non sugli appalti, che pur rientrando nel referendum del 28 maggio, costituiscono un argomento troppo complesso da spiegare a tutti».

@fra_prd

Foto Ansa

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