
Perché Gualtieri fa il braccino corto?

Il 7 gennaio scorso il ministero dell’Economia e delle Finanze ha comunicato i dettagli dell’emissione della prima tranche del nuovo Btp a 15 anni: «L’importo emesso è stato pari a 10 miliardi di euro … ad un rendimento lordo annuo all’emissione dello 0,992%». Si noti che la domanda complessiva è stata di oltre 105 miliardi di euro (cioè dieci volte l’importo collocato) da parte di oltre 520 investitori, di cui il 57,8% costituito da fondi e il 26,3% da banche. Il 73,4% degli investitori sono risultati di origine estera ed in particolare residenti nel Regno Unito!
Il successo dell’emissione rende evidenti alcune cose:
- I rendimenti italiani (di quasi 1% sulla scadenza a 15 anni), per quanto in vistoso calo, sono appetibili se raffrontati a quelli spagnoli e tedeschi sulla medesima durata (+ 0,37% e – 0,37% rispettivamente) e generano una rincorsa di investitori esteri, affamati di rendimenti positivi; al calo dei rendimenti ha corrisposto un aumento delle quotazioni, consentendo agli investitori, che hanno voluto monetizzare i loro passati investimenti, di realizzare plusvalenze fino al 30%;
- Gli investitori stranieri non si aspettano un cambiamento della politica monetaria espansiva della Bce nel breve e medio periodo.
- Non esiste un problema di cassa per il Mef, visto che soddisfa solo un decimo della domanda; con lo stesso Comunicato Stampa il Mef informa che «in seguito all’assenza di specifiche esigenze di cassa, il giorno 12 gennaio 2021 non verrà offerto il Bot trimestrale».
- Le emissioni di nuovi titoli del debito pubblico italiano per il primo trimestre del 2021, a giudizio degli analisti specializzati nel settore obbligazionario, dovrebbero avvenire a costi molto bassi: il bond triennali dovrebbe offrire un rendimento intorno allo 0,40%, quello a 5 anni intorno a -0,10% e sui sette anni circa +0,10%;
- La sostenibilità del debito pubblico italiano dipende in buona sostanza dalla politica della Bce.
Nell’anno 2021 il costo medio della raccolta è stato di circa lo 0,60% e la durata media del debito è salita leggermente a quasi sette anni (rispetto ai 6,89 anni di fine 2019). Nel loro insieme, i possessori di titoli del debito pubblico italiano si sono dovuti accontentare di rinnovare l’importo dei titoli in loro possesso, poiché l’Eurosistema (Bce più Banca d’Italia) ha praticamente assorbito un volume di emissioni pari all’incremento del debito pubblico nazionale. Il 4 gennaio scorso il Mef ha reso noto che «la spesa per interessi sui titoli di Stato ha presentato una riduzione di circa 1.400 milioni rispetto all’anno precedente», nonostante l’aumento dello stock del debito.
Questa analisi del debito pubblico ci deve riportare ad esaminare l’evoluzione prevedibile della politica monetaria da parte della Bce. Nel Bollettino Economico n. 8 pubblicato il 7 gennaio, la Banca Centrale Europea ricorda che il proprio Consiglio direttivo del 10 dicembre 2020 ha ricalibrato gli strumenti di politica monetaria a disposizione. In primo luogo è stato confermato il mantenimento ai livelli attuali dei tassi di riferimento. In secondo luogo ha incrementato di ulteriori 500 miliardi di euro la dotazione del Programma di acquisto per l’emergenza pandemica (Pepp), portandolo a un totale di 1.850 miliardi di euro ed estendendone l’orizzonte sino a marzo 2022 (in ogni caso non prima che si concluda la fase critica legata al coronavirus). Il capitale rimborsato sui titoli in scadenza sarà reinvestito almeno sino alla fine del 2023 e ogni futura riduzione sarà gestita in modo da evitare di dare scossoni al mercato. Le altre quattro decisioni adottate nella medesima seduta sono indirizzate a rafforzare detto orientamento espansivo della politica monetaria, in particolare ad incentivare le banche a sostenere l’attuale livello di credito bancario, sorreggendo l’attività economica e salvaguardando la stabilità dei prezzi nel medio termine.
Fino a quando continuerà la politica monetaria espansiva della Bce? In quanto sopra detto sono già contenuti degli elementi di giudizio.
Dopo una brusca contrazione nella prima metà del 2020, il Pil in termini reali dei paesi dell’area euro si è ripreso di ben il 12,5% nel terzo trimestre. La seconda ondata della pandemia e le misure di contenimento adottate da metà ottobre stanno producendo un rinnovato significativo declino nell’attività economica nel quarto trimestre. Nel medio termine, la ripresa dell’economia nell’area euro dovrà essere supportata, a giudizio della Bce, da condizioni finanziarie favorevoli, da politiche fiscali espansive e ripresa della domanda (di beni di consumo principalmente). Sono state riviste al ribasso dalla Bce le proiezioni di evoluzione del Pil: -7,3% nel 2020, +3,9% nel 2021 e +4,2% nel 2022.
L’inflazione si è mantenuta in territorio negativo a -0,3% in novembre e le aspettative sono di tassi annuali di inflazione dello 0,2% nel 2020, 1% nel 2021, 1,1% nel 2022 e 1,4% nel 2023.
La Bce dichiara di voler mantenere i tassi di interesse di riferimento «su livelli pari o inferiori a quelli attuali, finché non vedrà le prospettive di inflazione convergere saldamente su un livello sufficientemente prossimo ma inferiore al 2% nel suo orizzonte di proiezione». Ne dobbiamo dedurre che la politica monetaria accomodante continuerà fino al 2023, tenendo conto che il Consiglio direttivo della Bce si dichiara comunque «pronto ad adeguare tutti i suoi strumenti, ove opportuno».
Sorgono a questo punto spontanee alcune domande: perché il nostro ministro dell’economia e finanza Roberto Gualtieri continua nella sua politica del braccino corto e rinuncia ad emettere titoli del debito pubblico col quale finanziare oggi le spese necessarie per affrontare le necessità della sanità e far partire adeguati investimenti pubblici ad elevato moltiplicatore per aiutare la ripresa economica? Perché si continua a porre ogni aspettativa nell’arrivo dei fondi del Next Generation EU (alias Recovery Fund) se non del Mes, dilazionando ogni decisione? A quali tassi la Unione Europea pensa oggi di finanziare i paesi membri con i suoi programmi, visto che non sappiamo ancora a quali tassi ci siamo finanziati con programma Sure, che è l’unico avviato?
Foto Ansa
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