Perché vogliono far fuori Formigoni
Ripubblichiamo l’articolo apparso sul numero di Tempi 04/2012.
L’estate scorsa, durante una puntata di Omnibus, tra una lama incrociata in chiaro e reciproci sfottò nel fuori onda, con Gianni Barbacetto avevamo giocato alle previsioni: con chi se la sarebbero presa e di cosa avrebbero parlato i giornali ossessionati dalla sua figura il giorno dopo l’uscita di scena di Silvio Berlusconi? «E che problema c’è?», ci aveva confortato il collega del Fatto quotidiano, «dopo Berlusconi verrà il turno di Formigoni». Detto fatto. All’indomani dell’arresto di Franco Nicoli Cristiani, vicepresidente del Consiglio regionale della Lombardia, il tema veniva immediatamente titillato con gran squillo di tromba da un editoriale di Repubblica a firma Gad Lerner. Era il primo dicembre 2011. Il governo Monti si era insediato a Palazzo Chigi appena due settimane prima, il 16 novembre. Berlusconi aveva alzato bandiera bianca. Lady Spread correva. Scoccava l’ora dei mannari.
«Dopo la giunta Moratti a Milano e il governo nazionale di Berlusconi, c’è da sperare che questo impetuoso 2011 si porti via pure il regno di Formigoni sulla regione Lombardia». E giù botte. «Non se ne può davvero più degli arricchimenti di sconosciuti imprenditori legati alla galassia di Comunione e Liberazione». E che dire «della coesistenza subalterna instaurata dalle Coop con i maggiorenti della Compagnia delle Opere»? E via descrivendo una regione più prossima al Corno d’Africa che al Belpaese. Un posto, la Lombardia, dove a detta di Lerner vigerebbe un «sistema di manipolazione del libero mercato» e dove politici come Bossi e Maroni nient’altro rappresenterebbero che i vili manutengoli dell’«affarismo imperante». In cauda venenum: «Lo stesso movimento ecclesiale di Comunione e Liberazione dà più di un segnale di averlo compreso: Formigoni non è un Pontefice, in politica comandare a vita è insano. Separare il cattolicesimo lombardo dalla zavorra della corruzione si prospetta anche come uno degli impegni per cui è venuto a Milano il nuovo arcivescovo, cardinale Angelo Scola. Per questo sarebbe un bel regalo di Natale chiudere il 2011 con le dimissioni della giunta regionale lombarda».
Nessun regalo. Per le sue cattiverie Gad Lerner ha ricevuto da Babbo Natale solo carbone. Però il jingle della presa di distanza da parte di Cl si scarica facilmente anche su iPad e diventa anche per l’iPhone una delle suonerie del giornalista beninformato e collettivo. Lo riprende la settimana scorsa il Fatto quotidiano in un commento di Gianni Barbacetto (arieccolo). Il quale, per tramite del suo “ciellologo” personale (e chi sarà mai se non il carbonaro Gad?), spiffera un progetto segretissimo di cui sarebbe ideatore e custode don Julián Carrón, attuale capo di Cl. «Dicono che il suo programma sia ora quello di mettere al riparo Cl-movimento ecclesiale da Cl-Compagnia delle Opere-movimento economico e politico. Ha addirittura minacciato di dimettersi e di tornarsene in Spagna». Addirittura? E sia. D’altronde, se sei ciellino, puoi mica metterti in affari come un Carlo De Benedetti (sebbene di ciellini pare che De Benedetti ne conosca almeno due, impiegati nelle sue aziende). Ci sono affari democratici e affari che sono solo affaristici. Affari che sono solidali e solidarietà che sanno di privilegi loschi. Ci sono sodalizi umanistici che la domenica scrivono gli editoriali di Guido Rossi e ci sono cricche che possono essere solo P3, P4 e P26.
Insomma, ti muovi nel mondo come qualsiasi uomo di mondo, non ti limiti alle litanie in chiesa e se fai politica non la fai dalla parte giusta? Bè, vuol dire che c’hai del marcio addosso. Fatti uno shampo di Giorgio Gaber e convertiti all’umanità umanitaria di Che tempo che fa. Altrimenti? Altrimenti resti un fondamentalista. E fondamentalmente un negro. Come lo eri negli anni Settanta. Quando Formigoni battezzava la nascita di Cl al Palalido di Milano e loro, i democrat, brandivano la spranga. Oggi la Hazet 36 è di carta e quelli che le impugnavano allora sanno di Unico al velluto e spiaggette ai tropici. Tu eri negro allora e negro rimani (mentre loro si danno civettuolamente del “bastardo”, così per farsi ultimi in un titolo di libreria Feltrinelli per un pubblico di gente che piace). Una volta eri “il parà di Cristo”? Adesso del Figlio di Dio sei il concetto del volto affaristico. Formigoni? Per definizione, è l’Untermensch berlusconiano. Soprattutto, è il sottouomo che, caduto il Capo, rischia di dare una mano alla rinascita di un centrodestra decente, portando in dote il successo di diciassette anni anni di buona e moderna amministrazione in Lombardia.
Tant’è, si permette di andare pure in barca, Formigoni. E anche in aereo. Addirittura Formigoni si fa fotografare in compagnia di belle donne. Addirittura. E persino con abiti «da diva»: Francesco Merlo, sei omofobo anche tu? Chissà. Intanto, a ruota di Lerner, arriva l’impalatore principe di Valacchia, che da Parigi, dove risiede avvertendo fortemente il problema di come tirare la fine del mese in Champs-Élysées, la cosa più carina che scrive dalla prima pagina di Repubblica è: «Formigoni da 17 anni galleggia su una schiuma di faccendieri, appalti, società corruttrici, ville abusive, buchi di bilancio, false fatturazioni, finanziamenti illeciti, reati contro il patrimonio, bancarotte fraudolente: un’orgia affaristica dentro la sua Regione Lombardia dove fanno capolino anche la ’ndrangheta e la criminalità organizzata». Non c’è un solo riscontro giudiziario a tanto elenco degno di un Totò Riina. Ma c’è chi può. Loro “può”.
Loro sono l’Occhio di Sauron di Alberto Statera, possono dire tutto e la cosa più garantista che possono dire è: «Sta per venire giù rovinosamente la cupola che da un ventennio il celeste Roberto Formigoni ha edificato su Milano e sulla Lombardia. Con un cemento marcio, fatto di devozione al braccio affaristico di Comunione e Liberazione e di sottomissione a quello criminale della ’ndrangheta calabrese». Perfetto, ma lo vogliamo rivelare o no il nome del Celeste Governatore che sta dietro la strage di Capaci e gli omicidi Falcone e Borsellino? E poi, durante una cena ad Arcore, Formigoni ha sostenuto con entusiasmo la candidatura di questo Massimo Ponzoni, uno che adesso è finito in un mare di guai giudiziari. Uno che è perfino stato il consigliere regionale più votato. Uno che adesso bisognerebbe andare a prenderli tutti quei bastardi dei suoi undicimila elettori mafiosi. O non lo sapevate che quando in Lombardia vince il centrodestra vince la ’ndrangheta, quando vince la sinistra è tutto un “nuovo vento di cambiamento”?
Fende la nebbia un piccolo triste raggio di sole e si riflette nelle vetrate del nuovo grattacielo della Regione. Un funzionario che ci conosce, un nostro lettore, ci mostra una pagina del Sole 24 Ore. Sabato 21 gennaio, dorso “Economia-Imprese”. Ennesimo record della Lombardia, leader assoluta nel campo del risparmio energetico. Lo dice il apporto Enea presentato a Roma la scorsa settimana. I dati vengono dall’Autorità per l’energia. Bene, del 64 per cento di risparmio energetico ottenuto dalle regioni del Nord nel biennio 2007-2009 (si pensi che regioni come Molise, Basilicata, Calabria e Valle d’Aosta valgono tutte insieme un risparmio energetico dell’1 per cento), quasi il 25 è prodotto dalla sola Lombardia. Merito delle sue leggi e delle sue buone pratiche, nell’edilizia e nell’impresa. Un ennesimo dato a conferma di una realtà che conoscono tutti, compresi i sassi dell’Australia e gli osservatori Ocse, Ue, Fmi… Eccetto loro, queste troike che dai castelli del conte Dracula narrano che nel regno di Lombardia comanda la mafia, Formigoni fa il cemento marcio e noi, magari, si mangia pure i cagnolini di Michela Bambilla. La troika, oltre al significato di “equipaggio di tre cavalli”, nel dizionario della lingua russa del 1935 (ci informa il traduttore di Tutto scorre), era sinonimo di “commissione composta da tre persone”: il commissario del popolo agli Interni, il primo segretario del partito, il procuratore della repubblica: «Hanno il diritto di condannare alla fucilazione, e fino a dieci anni di lager. Le condanne vengono eseguite immediatamente, senza diritto a ricorso». Anche oggi che le troike sono solo di carta (epperò le galere restano pur sempre di cemento e ferro) non smette di stupire questa banale malvagità con cui passano così facilmente dalla denuncia all’esecuzione sommaria.
Tutte cose che conosce bene anche un collega (recentemente ingaggiato dal quotidiano di via Solferino) che nel suo blog si presenta così: «Sono Ferruccio Pinotti, sono un giornalista d’inchiesta autore di numerosi libri di indagine su temi scomodi, come Comunione e Liberazione, la Lobby di Dio». Temi scomodi, appunto. Chissà che scomodo mettere insieme un’inchiesta wikipediana e buttarla in Chiare Lettere proprio sotto l’urgere dell’assalto all’ultimo fortilizio berlusconiano. Coincidenza vuole che l’abstract del libello pinottiano capiti su Sette, magazine del Corriere della Sera, proprio alla vigilia del blitz che inguaia il circolo Ponzoni e al montare della richiesta di un alzo zero sulla giunta Formigoni. Per carità, le due vicende non vanno messe in relazione. Però qualcosa che ha a che vedere con l’aria che tira e, forse, con il suggerire una certa messa in riga, pure Dagospia lo sospetterebbe.
Sia quel che sia, è un fatto che dopo l’uscita di Sette, sul quotidiano Rcs arriva una bella paginata di intervista a don Julián Carrón. Per carità. È un garbato incalzare quello di Aldo Cazzullo. Ma sempre di lieve inquisizione si tratta («Cl è spesso accusata di contaminarsi troppo con il mondo, di dedicarsi molto – attraverso la Compagnia delle Opere – agli affari. Non si è esagerato? Non sono stati commessi errori? Cl a Milano è accusata di aver costruito un sistema di potere, che talora è degenerato in scandali. Cosa risponde? Pensa che Cl debba vigilare di più, per evitare di farsi usare? Qual è il suo giudizio su Formigoni e sulla sua lunga stagione di potere? E della stagione di Berlusconi cosa pensa? Cl non si è sbilanciata troppo in suo favore?»). Ma insomma, così è se vi pare. È il “giornalismo scomodo”. Il quale, essendo “scomodo” altro non serve che la verità così come viene distillata, nuda e cruda, da un avviso di garanzia o da un mattinale di polizia. Un avviso (o un mattinale) che solo in Italia sono già sentenze di condanna e marchi di infamia. Come scrisse il gallo di Repubblica che cantò per primo? «Non sono per niente coraggioso». Già, e come dargli torto? «Vivo nella bambagia e non l’ho mai nascosto». Ecco, non dimenticarlo mai, “giornalista scomodo”.
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