Parlare dell’ultimo attacco americano alla Germania (obiettivamente il messaggio made in Usa ai tedeschi era durissimo: state rovinando il mondo con la vostra maledetta austerity) come di un virtuale nuovo sbarco in Normandia è senza dubbio scompostamente esagerato, se non esagitato. Per certi versi i rapporti tra Berlino e Washington sono segnati anche dalla trattativa per un mercato unificato transatlantico e talvolta, quando si è in vista di un accordo, le “parti” si irrigidiscono.
Questa però è solo l’ipotesi più ottimistica, perché l’amministrazione tedesca è particolarmente bottegaia e quindi manca di quella energia strategica che consente le grandi operazioni, mentre quella americana – pur sempre forte della sua funzione imperiale – è indebolita da una presidenza che non riesce a trovar bene sintonia con la nazione (e in parte con la politica tout court). Magari proprio grazie alle reciproche disperazioni troveranno un’intesa all’ultimo minuto: il che sarebbe molto importante anche se oggi le varie economie hanno bisogno forse più di crescita del mercato interno che della pur rilevantissima operazione “transatlantica”. E un mercato interno Ue sotto l’ottuso tallone della Germania pare proprio non possa ripartire.
Quindi anche se le cose andranno al meglio, le difficoltà non svaniranno. Ma bisogna, peraltro, pure prepararsi a scenari peggiori. In questo contesto una delle cose più perniciose è l’euroretorica. Oh! Come è bella l’Europa! Oh! Come all’ultimo momento risolve tutti i problemi! Oh! Che magnifica invenzione abbiamo realizzato! C’è anche chi arriva a dire – contro ogni dato disponibile – che in fin dei conti l’euro ci ha arricchito. In realtà siamo di fronte a una deriva indotta innanzitutto da un uomo di grande intelligenza (ma un po’ astratta) come Nino Andreatta e condotta fino quasi al disastro finale dall’assai meno geniale Carlo Azeglio Ciampi con la sua teoria dell’esigenza di un vincolo esterno per disciplinare l’Italia, base di quella crisi verticale della nostra sovranità nazionale (sia pure di quella relativa che ci tocca in quanto membri dell’Unione) in cui stiamo vivendo (o vivacchiando come è meglio dire).
Certo è evidente come l’Europa costituisca per suoi elementi fondamentali (mercato unico, tendenziale omologazione delle regole, alcuni meccanismi di riequilibrio, assetto di pace in un continente sconvolto dal Novecento) una conquista formidabile, ma per capire quel che sta andando male bisogna innanzitutto combattere l’eurofanatismo. Senza dubbio hanno contato i grandi fondatori, gli Schuman, gli Adenauer, i De Gasperi, e hanno avuto un ruolo decisivo quelli che hanno assestato la macchina negli anni Ottanta: i Kohl, i Mitterrand, i Craxi & Andreotti. Ma quello che abbiamo vissuto è tutto tranne che la realizzazione astratta di un sogno: l’Europa la fa Harry Truman con il Piano Marshall e il Patto Atlantico.
Alla base della sua costituzione c’è l’incombere dei carri armati di Giuseppe Stalin. Una regolata viene data dopo il 1956 sia per l’invasione sovietica in Ungheria sia per il fallimento dell’occupazione del canale di Suez da parte anglofrancese: il che spingerà Londra nel giro di qualche anno ad avvicinarsi. Un’altra regolata (innanzitutto monetaria) avviene subito dopo il 1968, cioè dopo l’invasione sovietica della Cecoslovacchia, la guerra dei sei giorni e i conseguenti sconvolgimenti di dollaro e prezzi del petrolio. E negli anni Ottanta il motore del cambiamento è acceso dal crollo dell’impero sovietico e dall’approssimarsi della questione della riunificazione tedesca.
Le cose possono andare male
Naturalmente in questo scenario il ruolo di grandi uomini di Stato come quelli citati fu determinante ma innanzitutto perché erano dotati di un solido realismo basato sui fatti che oggi pare mancare alla bottegaia di Berlino per non parlare dei piccoli illusi-illusionisti italiani che ci governano dal novembre 2011. L’unità europea è importante ma l’unico modo per rilanciarla è tenere bene gli occhi aperti, comprendere l’ambiente di cui ha bisogno per crescere (cioè un saldo legame con gli Stati Uniti e poi un’apertura sia alla Russia sia all’area mediterraneo-mediorientale), valutare i diversi interessi in gioco evitando egemonie egoistiche come quella del bottegaismo tedesco oggi dominante, subordinare la scelta delle forme unitarie alla consapevolezza di questa realtà e non viceversa come amano fare gli eurofanatci che subordinano la realtà alle varie forme che il processo unitario storicamente determinato ha preso (dall’adorazione per le varie tecnocrazie al dogma dell’intoccabilità dell’euro).
Per costruire un’Europa unita bisogna sapere che le cose possono andare anche male (come in buona misura oggi stanno andando). E in questo senso non sarebbe male ricordarsi di tutti gli “impossibili” del nostro Continente: dall’impossibilità di una guerra distruttiva che si predicava nel 1913 alla previsione di un’epoca di pace che faceva Neville Chamberlain nel 1939.