Qual è il predatore più letale del mondo animale? L’orso, lo squalo, la leonessa? No, la libellula. L’insetto, tanto piccolo quanto maestoso, quando sferra i suoi attacchi è più rapido del migliore jet militare: è in grado di decollare, catturare la preda, mangiarla e tornare al suo posto in un secondo e mezzo.
ALTRO CHE ORSI E SQUALI. Grazie a una tecnica di caccia stupefacente e una precisione chirurgica, i suoi attacchi vanno a buon fine nel 97% dei casi. A confronto, le probabilità di successo nella caccia dell’orso bianco (36%), della leonessa (15%) e dello squalo (50%) impallidiscono. Com’è possibile tanta perfezione in un essere così piccolo?
COMPLESSITÀ IMPENSABILE. Due studi scientifici americani, uno di questi appena pubblicato sulla rivista Pnas, hanno scoperto che le libellule sono molto più complesse di quanto un uomo potrebbe immaginarsi. Grazie a un gruppo di 16 neuroni, l’insetto è capace, non solo di concentrarsi in modo selettivo sulla sua preda, ma anche di predire il movimento della sua vittima.
«È come se applicassero una vecchia tattica nautica», spiega il ricercatore Robert Olberg. «Se una nave viene avvistata da un’altra, sempre con lo stesso angolo di rilevamento, ma a una distanza via via minore, vuol dire che le due navi sono in rotta di collisione». Solo che questa teoria alla libellula nessuno l’ha mai insegnata: la conosce da sempre, è predisposta naturalmente al successo.
«COSÌ SOFISTICATO E COSÌ PICCOLO». Per scoprire le dinamiche che misteriosamente guidano la libellula, gli scienziati hanno impiegato macchinari e tecniche innovativi e dai nomi impronunciabili. Tutto per spiegare un meccanismo, un ordine, che guida il minuscolo insetto fin dai tempi dei dinosauri, cioè da circa 325 milioni di anni.
«Non ci aspettavamo di trovare qualcosa di così sofisticato in un insetto così piccolo», ha dichiarato il professore David O’Carroll.
INSETTO MISTERIOSO. E continua: «Non è ancora ben chiaro come tutto ciò possa funzionare», “come” operino i neuroni nel cervello della libellula. Soprattutto, non è chiaro “perché” funzionino in questo modo e non in un altro, tendendo a un fine sorprendentemente preciso. Chi ha fatto sì che nella sua millenaria evoluzione l’insignificante libellula diventasse il predatore più letale del regno animale? Per gli scienziati, non c’è ancora una risposta. Come Shakespeare mise in bocca ad Amleto: “Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia”. Anche in una libellula.