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«Per fare l’insegnante non basta la laurea» (ma non serve nemmeno il concorso)

Diventare prof in Italia è un percorso a ostacoli. Liberiamo gli insegnanti!

Luca De Simoni
28/10/2019 - 1:00
Interni
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«Per fare l’insegnante non basta una laurea». Con queste parole il ministro dell’Istruzione, Lorenzo Fioramonti, ha annunciato di voler intervenire sul sistema di abilitazione e reclutamento dei docenti nella scuola italiana. 

Il Governo, intanto, ha varato un decreto legge, cosiddetto “Salvaprecari” in cui ha deciso di assumere 24mila insegnanti della scuola secondaria attraverso un concorso riservato a coloro che hanno svolto tre anni di supplenze nelle scuole statali.

Perché in Italia, come dice il ministro, non basta una laurea per fare l’insegnante. Serve anche tanta, tanta pazienza. Ti devi laureare, devi aggiungere al tuo corso di studi anche dei crediti formativi (i cosiddetti Cfu) in materie antropo – psico – pedagogiche (sic!); devi iscriverti in fantomatiche e misteriose graduatorie (regionali, provinciali, d’istituto); devi rispondere a convocazioni (spesso tramite telegramma!) per supplenze che vanno da 15 giorni a 10 mesi (mai annuali: al massimo da settembre a giugno) in improbabili scuole sparse per  la penisola; devi aggiornare punteggi e scalare classifiche, e poi aspettare che il ministro di turno indica un concorso (che manca da oltre cinque anni, per dire), partecipando al quale potrai entrare in un percorso di un anno che riconosca la tua capacità di insegnare, ovvero ti abiliti. Poi ti devi trovare un posto di lavoro. 

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Sono assai pochi i Paesi europei in cui lo Stato a livello centrale consente e certifica – una volta per tutte – la capacità di un cittadino di fare l’insegnante. Secondo il rapporto Eurydice, la rete europea che analizza in modo comparativo le politiche sulla carriera dei docenti di 43 sistemi educativi in Europa, in oltre il 50 per cento degli Stati basta la laurea per accedere al mestiere di insegnante. Nel resto dei Paesi è richiesta una formazione ulteriore e specifica, o la conferma delle proprie competenze durante la carriera di insegnante. Sono solo sei (Italia, Spagna, Francia, Lussemburgo, Albania e Turchia) i sistemi educativi in cui esiste un esame nazionale per l’abilitazione alla professione docente, ma di solito all’abilitazione consegue anche l’assegnazione di una cattedra.

A fronte di una volontà di controllo dello Stato sui percorsi di abilitazione degli insegnanti e sui concorsi pubblici di assunzione, la realtà è assai diversa. Circa il 20 per cento del personale docente e amministrativo nella scuola italiana è “precario” ovvero chiamato a tempo, senza concorso e senza abilitazione. Tra questi, peraltro, vi sono anche studenti non ancora laureati che vengono chiamati a coprire i buchi generati dalla mancanza di percorsi abilitanti, di concorsi, di risorse. 

La situazione è altrettanto difficile anche per le scuole paritarie: obbligate ad assumere personale abilitato, si trovano oggi nella situazione di dover attendere che lo Stato avvii procedure per l’abilitazione: ma siccome queste coincidono con i concorsi di assunzione nella scuola statale, si trovano alla fine senza insegnanti. Una situazione, se possibile, ancora più grave della già palese ingiustizia della mancata parità economica.

Insomma, se per insegnare non basta una laurea, possiamo di certo dire che non serve un concorso: un ragazzo inizia ad insegnare grazie alle competenze acquisite durante gli studi universitari e con l’esperienza di studente e discente; si forma come insegnante nel lavoro, nel confronto con i colleghi, nella guida del dirigente, attraverso l’aggiornamento continuo e l’acquisizione di competenze sempre nuove. Sarà guidato e accompagnato di più, all’inizio, acquisirà sicurezza e capacità col tempo. Ma non possiamo permetterci di rinunciare ad una generazione di insegnanti.

Liberiamo l’insegnante: consentiamo a chi ha studiato, si è laureato, magari ha svolto anche corsi universitari specifici in materie psico pedagogiche di essere abilitato, di poter iniziare a insegnare. Consideriamolo abilitato, abile, arruolabile e lavoriamo affinché sia accompagnato, si aggiorni, migliori. Si può fare da subito, e non costa nulla. Nemmeno per fare il ministro basta una laurea, serve avere a cuore il futuro del Paese.

Foto Ansa

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