Bisogna ammettere che non sono mancati, negli ultimi mesi, validi appigli per imputare ai giudici della Corte costituzionale italiana una certa tendenza a invadere il campo della politica. Vedi la sentenza “antiproibizionista” sulla droga, la bocciatura della legge elettorale, la legalizzazione della fecondazione eterologa e poi, a fine aprile, last but not least, la sorpresina sulle pensioni – solo per attenersi ai verdetti più “memorabili”. Con quest’ultima deliberazione la Consulta, per chi non lo sapesse, ha dichiarato incostituzionale il blocco delle indicizzazioni Istat previsto dal “salva Italia” (governo Monti) per le pensioni superiori a tre volte il minimo. Una valutazione che promette di costare parecchio ai contribuenti, e di conseguenza al governo chiamato a recepire la sentenza.
UN VOTO CHE VALE DOPPIO. Non a caso Aldo Cazzullo, in un memorabile “viaggio” dentro la Corte costituzionale pubblicato oggi dal Corriere della Sera, definisce l’attuale presidente Alessandro Criscuolo «l’uomo che in pochi minuti ha fatto più male a Renzi della minoranza Pd». Già perché quel giorno di fine aprile è andata così: «Sei giudici erano per salvare la riforma delle pensioni, sei per bocciarla: lui era tra questi, il suo voto vale doppio, e così il governo ha dovuto varare un decreto e riscrivere la manovra che stava preparando». Insomma «in pochi minuti», pare suggerire Cazzullo, i sommi magistrati hanno bocciato una legge voluta da un governo e varata da un Parlamento, girando il conto miliardario ai cittadini.
SENZA BADARE A SPESE. Irresponsabilità? Sconfinamento? Nell’articolo del Corriere Criscuolo e il collega Giuliano Amato (giudice costituzionale dal 2013) provano a difendersi dall’accusa. «Noi non siamo un contropotere. Siamo un organo di garanzia. I custodi della Costituzione», dice a Cazzullo il successore di Giuseppe Tesauro. «Con i governi ci possono essere difficoltà, conflittualità», ma il mestiere dei giudici costituzionali è «verificare la costituzionalità delle leggi», il resto non conta: «Se una legge è incostituzionale, non possiamo fermarci se la nostra decisione provoca delle spese». Cazzullo ricorda che “provocare delle spese” significa in questo caso aprire un buco potenziale nelle casse pubbliche di ben 20 miliardi di euro. Ma Criscuolo: «Non erano dati di cui noi disponevamo. E poi noi non facciamo valutazioni di carattere economico». Quando una legge va a incidere su un cosiddetto “diritto acquisito”, tenta di spiegare il presidente, la Consulta è chiamata a valutare esclusivamente che «lo faccia con criteri di razionalità». E la riforma delle pensioni, «a mio giudizio, violava il principio di ragionevolezza».
IL BUBBONE. Amato, da parte sua, spiega che «io questa sentenza non l’ho voluta», ma ci tiene a confermare che la Corte costituzionale non è un contropotere. Solo che i diversi poteri hanno un’«elasticità naturale», scrive Cazzullo sintetizzando il pensiero di Amato: le istituzioni sono «come le fisarmoniche, se le altre sono deboli, è possibile che una si allarghi». «Ma noi – dice l’ex premier – non vogliamo sostituire il legislatore; siamo come il chirurgo che asporta il bubbone. Creiamo il vuoto, quando il pieno è incostituzionale. Spetta al governo e al Parlamento riempire quel vuoto». Con razionalità e ragionevolezza, si spera.
A PROPOSITO DI COSTITUZIONE. E qui è quasi inevitabile recuperare le parole utilizzate ieri in una bella intervista al Foglio da Carlo Nordio, procuratore aggiunto a Venezia, non nuovo ai giudizi controcorrente sullo strapotere della magistratura in Italia. Parlando con Maurizio Crippa proprio di responsabilità civile delle toghe e di poteri che si pestano i piedi, Nordio fa appunto l’esempio della sentenza della Corte costituzionale sulle pensioni, emblema di come in Italia «tanto più è debole la politica, tanto più lo spazio viene occupato dalla magistratura», e di conseguenza «sul diritto per come è scritto prevale quello che viene chiamato con uno slogan “il diritto vivente”». La Consulta, spiega Nordio, è intervenuta sulle pensioni «ritenendo, credo, di dover dire qualcosa sui livelli di salvaguardia dei redditi, cosa che dovrebbe decidere invece il Parlamento». E il risultato è un verdetto con un aspetto che «inquieta». E cioè: «La sentenza aggrava i conti pubblici, impone al governo di operare senza la necessaria copertura, cosa che invece la Costituzione prevede. Siamo a un caso in cui la Corte costituzionale, per assurdo, forza l’esecutivo ad agire al di fuori della Costituzione».
Foto Ansa