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Seduto nella sua galleria colonnata di legno rosso, mentre i suoi occhi vagano sul mare verde delle sue piante di caffè, Francisco da Cunha Bueno si tormenta le mani. Non cerca di giungerle. Nemmeno si può dire che se le stia fregando. Né profitto né preghiera. Sembra volersi accertare della propria consistenza attraverso di esse, brancolando nella sua notte. Dopo cinquantotto anni di esercizio le palme restano eccezionalmente morbide. Teresa de Aguirre, la seconda moglie, glielo ha appena ricordato. Mani da giocatore di carte. Da direttore d’orchestra. Che hanno maneggiato la frusta come una bacchetta, diretto la sua piantagione col rigore di una filarmonica. Pensate: la più grande del Sudamerica! Quali mani di ferro in guanti di velluto esige per essere amministrata! Ora queste belle estremità si rigirano l’una sull’altra sulle ginocchia, come due lottatori abbandonati.
Lo sanno tutti: il governo si sforza di controbilanciare il potere ...
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