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Padre Maccalli: «Nelle mani dei jihadisti ho capito che la missione è opera di Dio»

Il missionario, liberato l'8 ottobre dopo due anni nelle mani dei jihadisti, ha parlato per la prima volta a Fides: «Per i miei rapitori ero solo un infedele destinato all'inferno. L'unica cosa che ho da offrire è la mia vita»

Redazione
15/10/2020 - 11:16
Chiesa
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pierluigi maccalli
Padre Pierluigi Maccalli incontra il premier Conte e il ministro Di Maio dopo la liberazione

Riportiamo l’intervista realizzata da Fides a padre Pierluigi Maccalli, 59 anni, missionario della Società missioni africane, rapito in Niger nella notte tra il 17 e 18 ottobre 2018 dai jihadisti e liberato l’8 ottobre.

Con quale spirito ha vissuto questo tempo di prigionia e cosa significherà per la sua vita di missionario?
Resistere per esistere. È la parola che mi ha accompagnato e spronato ad andare avanti giorno dopo giorno. Mi hanno portato via in pigiama e ciabatte; non avevo nulla ed ero visto come un nulla da questi zeloti mussulmani jihadisti che mi consideravano un “kafir” impuro e condannato all’inferno. L’unico mio sostegno è stata la preghiera semplice del mattino e della sera che ho imparato in famiglia dalla mamma e il rosario della nonna come preghiera contemplativa. Il deserto è stato tempo di grande silenzio, di purificazione, di ritorno alle origini e all’essenziale. Un’opportunità per rivedere il film della mia vita che ormai entra nella terza età. Tante le domande che mi son posto e ho gridato come sfogo e lamento verso Dio: dove sei? perché mi hai abbandonato? Fino a quando Signore ? Sapevo e so che Lui c’è ! Ma so che Dio lo si vede di spalle, ora che sono libero, tornato a casa sto cominciando a capire. Ho testimonianza di quanto la gente ha pregato, fatto marce e veglie per chiedere la mia liberazione… ne sono sorpreso e stupito. Ciò che significherà per la mia vita da missionario questa vicenda, ora non lo so. Ho bisogno di tempo.

Il rapporto con Gesù è cresciuto pur non avendo l’Eucaristia, il conforto della Parola e dei confratelli?
Ogni giorno e in specie ogni domenica dicevo le parole consacratorie “questo è il mio corpo offerto” pane spezzato per il mondo e l’Africa. Nella preghiera mattutina pregavo un inno francese “un jour nouveau commence, un jour reçu de toi … nous le remettons davance entre tes mains tel qu’il sera… e – terminavo aggiungendo – non ho altra offerta che l’offerta della mia vita”. Ho chiesto una Bibbia, ma non me l’hanno concessa. Ogni domenica mi davo un bravo evangelico da meditare specie in occasione dei tempi forti di Avvento-Natale e Quaresima-Pasqua. Ma dal 20 maggio, giorno in cui ci hanno portato una radiolina con onde corte che avevo più volte sollecitato per ascoltare almeno le notizie dal mondo (Radio France International e Bbc) , ho potuto ascoltare ogni sabato il commento al Vangelo della domenica da Radio Vaticana. Una volta anche la messa in diretta… era proprio la messa di Pentecoste 2020. Quel mattino, dopo aver ascoltato le notizie di RFI, cambiando di frequenza, con mia grande sorpresa ascolto in italiano papa Francesco, avvicino l’orecchio e sintonizzo meglio la radio e mi ritrovo all’inizio della messa di Pentecoste in comunione con il Papa, la chiesa e il mondo. Mi dico “oggi sono nella Basilica di san Pietro a Roma e al tempo stesso in missione in Africa. Ascolto con un po’ di commozione le letture e il vangelo che mi richiamano la parola-motto della mia ordinazione sacerdotale, il brano del Vangelo di GIovanni (Gv 20): “Come il padre ha andato me anch’io mando voi. Ricevete lo Spirito Santo”. Coincidenze? L’omelia di Papa Francesco è una boccata di ossigeno. Dopo 2 anni di siccità spirituale e assenza di Parola di Dio, mi sento rinascere e accolgo questo dono come soffio dello Spirito Santo che ha voluto sospingere le onde radio fino in questo Sahara. Il vangelo e le parole del Papa le ho gustate come mai prima, avevano un sapore ed un gusto speciale in quel contesto.

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Quanto è cambiato il rapporto con la morte e che rapporto pensa di avere d’ora in poi con la missione ad gentes?
Nel primo video che mi hanno fatto fare il 28 Ottobre 2018 dicevano che il governo italiano voleva una prova che ero vivo, mi hanno detto di rivolgermi liberamente al governo, al Papa e alla famiglia. Ho cominciato con la famiglia per dire loro “siate forti, pregate per me, sono pronto a tutto” e a Papa Francesco “ricordati di pregare per me”. Una sola volta ho ricevuto espressamente una minaccia anzi una promessa, da parte di un mujahedin, di piantarmi una pallottola in fronte alla prima occasione. Si era alterato e irritato per un altro episodio che non sto a raccontare. Ai suoi occhi ero uno sporco ‘kafir’ e per giunta predicatore di una fede eretica e condannata dal Corano che si permetteva, a suo dire, di discreditare il Santo Libro. Quel giorno ho visto la spada di Damocle pendere minacciosa sulla mia testa. Ma più i giorni ed i mesi passavano, meno temevo una conclusione tragica, eravamo merce preziosa per loro e per questo ci hanno sempre trattato complessivamente bene. Mi sono sempre sentito missionario anche coi piedi incatenati, direi “missionario dal profondo del cuore” come usava dire il nostro Fondatore (Melchior de Marion Bresillac fondatore della S.M.A.). Spesso camminavo sulle piste di Bomoanga-Niger (la missione da cui sono stato strappato). Il mio corpo era prigioniero delle dune di sabbia, ma il mio spirito andava per i villaggi che nominavo nella mia preghiera e ripetevo anche i nomi dei miei collaboratori e di tante persone e giovani che porto nel cuore specialmente i bambini malnutriti e ammalati di cui mi sono occupato e tanti tanti volti che sono presenza viva nel mio cuore ferito. Mi sono reso conto che la missione non è solo “fare”, ma silenzio e fondamentalmente è Missio Dei, è opera del Signore. Il tanto attivismo che caratterizzava le mie giornate ora non era altro che ricordo e preghiera. Ma la missione continua ed è sempre in buone mani, la mani di Dio appunto, è la Missio Dei. Le testimonianze di persone, amici e sconosciuti che hanno partecipato a veglie di preghiera, marce e quant’altro per implorare la mia liberazione, che ricevo in questi giorni come una eco, mi confermano quanto la Missio Dei sia potente. Tutti mi dicono d’aver pregato tanto, addirittura qualcuno ha detto “hai riempito le chiese”… non io, questa è opera di Dio!

Qual è stato il rapporto e quali sono i suoi sentimenti oggi verso i rapitori e carcerieri?
Mi hanno sempre rispettato in generale. La mia lunga barba bianca doveva far presa sui giovanetti imberbi che mi custodivano, mi chiamavano in arabo o tamaceq “shebani” (vecchio). Provo tutt’ora molta tristezza verso questi giovani indottrinati da video di propaganda che ascoltavano tutto il giorno. Non sanno quello che fanno! Non porto rancore verso i miei rapitori e carcerieri, ho pregato per loro e continuo a farlo. Ho anche augurato a colui che ha gestito l’ultimo mio anno di prigionia, mentre in macchina ci portava all’appuntamento della liberazione, lo scorso giovedì 8 ottobre: “Que Dieu nous donne de comprendre un jour que nous sommes tous frères”.

Quali sono i tuoi desideri e le intenzioni per il futuro?
Questi due anni sono stati scuola di presente. Desideravo che finisse presto, ad ogni tramonto dicevo “speriamo domani”. Poi al sorgere del sole riprendevo il mio rosario e continuavo a ritmare la mia giornata con i soliti gesti quotidiani giorno dopo giorno. Il futuro appartiene a Dio, ora mi gusto il ritorno a casa, questo è il mio presente. Il futuro prossimo è incontrare i confratelli di Genova e Padova che non ho ancora abbracciato fisicamente e poi i monasteri di clausura che hanno pregato instancabilmente per me e far visita ai tanti amici in Italia e non solo. Il futuro sarà come Dio vorrà.

Foto Ansa

Tags: jihadjihadistinigerpierluigi maccalli
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