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Il Deserto dei Tartari

Non c’è nulla di “naturale” nel trasferimento dell’orsa JJ4 in Romania

Il buen retiro disneyano che potrebbe accogliere il plantigrado che uccise Papi è una schiavitù dorata in cui la naturalità è persa. La verità è che per un grande carnivoro è meglio morire per mano umana che di morte naturale

Rodolfo Casadei
01/07/2023 - 5:35
Blog
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Orsa JJ4
Un orso in una immagine diffusa il 12 aprile 2023. ANSA/ UFFICIO STAMPA OIPA ITALIA ++HO – NO SALES EDITORIAL USE ONLY++

Apprendo delle trattative in fase avanzata per il trasferimento dell’orsa JJ4, responsabile dell’aggressione mortale al giovane Andrea Papi in Val di Sole, in un’oasi faunistica in Romania. Il plantigrado avrebbe dovuto essere abbattuto a causa della sua pericolosità per gli esseri umani in base a quanto previsto dal Pacobace, il Piano d’azione interregionale per la conservazione dell’orso bruno sulle Alpi centro-orientali che è stato formalmente recepito da tutte le Amministrazioni territoriali delle regioni interessate, dal ministero dell’Ambiente e dall’Ispra, Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale (pagina 33 del Piano d’azione) fin dal 2010, ma il Tar di Trento è intervenuto due volte a sospendere l’ordinanza del presidente della Provincia che disponeva tale provvedimento.

«120 orsi provenienti da abusi e vite miserabili»

Vanity Fair ci comunica che l’oasi, che porta il nome un po’ ridondante di Libearty Bear Sanctuary Zărneşti e si trova non lontano dalla città di Brasov, occupa «80 ettari di bosco di querce, con alberi dove gli orsi possono arrampicarsi, piscine dove possono sguazzare, mangiare cibo secondo la loro dieta studiata dai veterinari e, ovviamente, godere delle necessarie cure mediche a seconda dei loro malanni» e ospita «120 orsi tutti provenienti da abusi e da vite miserabili: molti sono stati salvati dalle gabbie dove erano prigionieri, quasi sempre esibiti come con dancing bears, gli orsi costretti a ballare e ad esibirsi per i turisti tipici dei Balcani, oppure trascinati con una catena per i famosi selfie da spiaggia».

Il presidente di una delle associazioni che hanno fatto ricorso al Tar per la sospensione dell’abbattimento di JJ4 racconta: «Ci sono aree per orsi adulti, dove convivono pacificamente femmine intere e maschi castrati, zone per cuccioli e per orsi giovani e, infine, zone per orsi anziani. Ovunque piscine dopo possono fare il bagno e giocare nell’acqua. Ho visto orsi scavarsi le loro tane, camminare, giocare fra loro e buttarsi nell’acqua delle piscine».

La caccia all’orso in Romania

La Romania è uno strano paese dove la caccia all’orso è stata bandita nel 2016, ma in realtà attraverso provvedimenti di eccezione mirati a contrastare situazioni di sovrappopolamento sono stati uccisi 1.400 orsi fra l’anno della messa al bando e il 2021, e attualmente è in discussione una proposta di legge del governo che fisserebbe a 400 la quota di orsi cacciabili ogni anno. Gli animalisti italiani però non protestano col governo romeno, che gestisce i 6 mila orsi che vivono sul suo territorio anche con abbattimenti mirati di esemplari pacifici, ma contro la Provincia di Trento che ha ordinato l’eliminazione di un singolo orso che si è dimostrato pericoloso in modo letale. Non è questo però l’unico paradosso della soluzione “Libearty Bear Sanctuary Zărneşti”.

La difesa a oltranza della vita di JJ4 si fonda sull’argomentazione che un orso che si è semplicemente comportato da orso non merita di essere eliminato fisicamente. Chi entra in un bosco lo fa a suo rischio e pericolo, perché quello è il regno dell’orso. Il discorso fa acqua da molte parti, perché spesso gli orsi (come i lupi, i cinghiali, ecc.) non si limitano a scorrazzare nei boschi, ma si avvicinano agli insediamenti umani ed entrano in proprietà private provocando danni. Se il fine da perseguire è quello di una certa sopportabile convivenza fra esseri umani e animali selvatici, ragionare in termini di confini dentro ai quali tutto è permesso agli orsi (e agli umani no?) ha poco senso.

Orsi ridotti a condizioni disneyane

Fa acqua poi alla grande l’idea che l’uomo debba rassegnarsi alla sua condizione di preda dei carnivori: se noi siamo qui oggi, è perché i nostri antenati hanno lottato per non finire fra le fauci delle belve, o perché queste non sterminassero gli animali da allevamento di cui loro si nutrivano. Ma a parte questo e altro, fa sorridere l’idea che per difendere l’intangibilità della natura dell’orso lo si trasferisca in un ambiente che di naturale non ha nulla: un’oasi naturalistica non è certamente uno zoo, ma non è nemmeno una condizione naturale, è un artefatto che stravolge la vita degli orsi, ridotti a una condizione disneyana, come quella descritta su Vanity Fair: animali che sguazzano in piscine costruite da mano umana, che mangiano quello che il veterinario ha ordinato, che ricevono assistenza sanitaria come gli ospiti di una residenza per anziani.

Orsi che non sono più orsi

Gli animalisti deprecano lo sfruttamento economico degli orsi ridotti in schiavitù dagli orsai, che normalmente rappresentavano e ancora rappresentano ceti sociali marginali e svantaggiati; la sostituiscono con una schiavitù dorata, che permette all’orso di vivere in una specie di resort, ma la naturalità è persa in un caso come nell’altro. L’orso diventa comunque un dipendente dell’uomo, nel secondo caso sta meglio perché viene gestito da umani ricchi e colti anziché poveri e ignoranti.

La scena degli orsi che vivono fianco a fianco pacificamente, femmine e maschi castrati, dimostra solamente che quegli orsi non sono più orsi: gli orsi combattono fra loro per le femmine nel periodo dell’accoppiamento, i maschi uccidono i piccoli di una nidiata per accoppiarsi con la femmina che era stata ingravidata da un rivale, e costei si sottomette senza tante storie. Dei cinque orsi trovati morti in Italia nel corso dell’ultimo anno, tre sarebbero stati uccisi da altri plantigradi nel corso di lotte per le femmine.

Il concetto antropocentrico di “benessere animale”

Non sono affatto naturali le cure che vengono riservate agli orsi dell’oasi faunistica: antibiotici e diete salutiste sono sconosciute al mondo dei grandi carnivori. E appaiono ingiuste se si porta lo sguardo sull’insieme del regno animale: perché gli orsi problematici e liberati dalla cattività di Zărneşti meritano di ricevere più cure di quelli che vivono in libertà nei boschi del Trentino o in quelli della Slovenia e della Finlandia, dove possono essere in una certa misura uccisi dai cacciatori, anche se non hanno fatto male a nessuno?

Si dirà che dovere degli esseri umani è promuovere il “benessere animale”, perché gli animali sono esseri senzienti. Il concetto di “benessere animale” è chiaramente antropocentrico, è giusto se si applica agli animali domestici e a quelli da allevamento, verso i quali l’uomo matura dei doveri perché sfrutta la loro vita, ma è stravagante ed eticamente ingiusto se si applica agli animali selvatici.

Perché solo gli orsi delle oasi faunistiche avrebbero diritto ad essere curati e assistiti? Se il motivo della cura è combattere la sofferenza animale, perché non curiamo tutti gli animali della foresta e della savana, perché non creiamo un Servizio sanitario nazionale per gli animali? Perché privilegiare alcuni individui e alcune specie, e non tutti gli individui di una specie e tutte le specie? Una volta introdotta l’idea strampalata che gli esseri umani sono responsabili del “benessere” di tutti gli animali, la coerenza impone obblighi universalistici e sterminati. Gli animalisti non hanno una risposta a queste domande, come pure a quella relativa all’alimentazione dei carnivori delle oasi faunistiche: perché è lecito far soffrire salmoni, cervi, cinghiali, lepri, ecc. che costituiscono la dieta dell’orso? Non sono esseri senzienti pure loro? Perché la loro sofferenza merita meno tutela di quella dei grandi carnivori?

Una verità scomoda ma incontestabile

E qui si arriva a una verità scomoda ma difficile da contestare: per un grande carnivoro, mediamente è meglio morire per mano umana che di morte naturale. Nella catena alimentare i grandi carnivori non hanno sopra di sé altri predatori che pongano fine alla loro vita: sono destinati – salvo incidenti come quelli che avvengono durante i corteggiamenti – a morire di vecchiaia, tormentati dai parassiti e dalle infezioni. Soffriranno terribilmente nella fase finale della loro vita.

Per loro – che non sono soggetti morali come gli esseri umani – sarebbe utilitaristicamente meglio crepare per la fucilata di un cacciatore, al culmine della propria maturità fisica, che non di vecchiaia. Nel nostro mondo a rovescio invece il ragionamento utilitaristico viene applicato al piccolo Alfie Evans, soppresso perché non soffra, mentre il ragionamento centrato sulla dignità del soggetto morale, che dovrebbe essere riservato agli esseri umani, viene applicato agli animali. Buona notte.

Tags: ambientalismoanimali
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