
«L’ordine internazionale liberale è fallito»

È sempre più difficile districarsi all’interno del dibattito pubblico. In effetti, sia che si tratti di politica interna o internazionale, lo spazio per il ragionamento è sempre più esiguo. Tra chi strilla e chi, pur non strillando, assume posture ideologiche e/o ortopedico-pedagogiche, non resta che rifugiarsi in qualche buona lettura. In fatto di teoria delle relazioni internazionali, se non si vuole prendere in mano qualche buon classico – rimando al Novecento c’è solo l’imbarazzo della scelta: Edward H. Carr, Hans Morgenthau, Raymond Aron, Martin Wight, Kenneth Waltz, tra gli altri –, si può trovare qua e là qualcosa di sicuro interesse. È da poco in libreria per Raffaello Cortina, ad esempio, Il suicidio della pace. Perché l’ordine internazionale liberale ha fallito (1989-2024). L’autore, Alessandro Colombo, ordinario di Relazioni internazionali all’Università di Milano, per lo stesso editore aveva pubblicato sul finire del 2022 un altro libro meritevole di attenzione, Il governo mondiale dell’emergenza. Dall’apoteosi della sicurezza all’epidemia dell’insicurezza. Ne Il suicidio della pace, Colombo non le manda a dire al progetto di ordine internazionale post 1989.
Professore, fin dall’introduzione lei parla dell’ordine internazionale liberale, seguito alla Guerra fredda, come di una costruzione fragile, tutto sommato illusoria e financo suicidaria, per riprendere il titolo del libro. Perché?
Il fatto che il progetto fosse sin dall’inizio fragile e, alla lunga, insostenibile, è testimoniato già dalla sorprendente rapidità del suo passaggio dall’ascesa al declino. Il progetto di Nuovo ordine internazionale fu edificato, per tutti gli anni Novanta del XX secolo, a partire da una superiorità politica, economica e militare senza precedenti nella storia degli ultimi secoli. Ma già attorno alla metà del decennio successivo, grossomodo tra il fallimento della guerra in Iraq tra il 2003 e il 2004 e lo scoppio della crisi economico-finanziaria del 2007-2008, l’ordine internazionale entrò in un declino che si sarebbe rilevato presto irreversibile. E lo fece in un contesto nel quale, per esplicito riconoscimento dei suoi protagonisti, America ed Europa non avevano ancora competitori di pari livello; Russia e Cina era ancora lontanissime dal rappresentare autentici sfidanti; e America ed Europa erano più liberi da costrizioni esterne di quanto non fossero mai state le grandi potenze del passato.
Criticando l’impianto universalistico del sistema internazionale liberale, riporta un ammonimento di Raymond Aron: se le élite politiche devono preoccuparsi dell’interesse collettivo del proprio Stato, non possono però dimenticarsi che esistono al contempo gli interessi di altre collettività. Le élite occidentali hanno tradito la loro missione rinchiudendosi sempre più in bolle autoreferenziali?
Questo è il primo e, forse, il principale vizio del modo in cui l’ordine internazionale liberale è stato prima concepito e poi praticato. Un vizio entro qualche misura comprensibile, perché espressione di una condizione storica anomala nella quale sembravano non esistere più forze controbilancianti all’egemonia occidentale. Ma una condizione che ha indotto Stati Uniti e paesi europei a ignorare sempre di più la più elementare regola di prudenza diplomatica e strategica delle relazioni internazionali (che, non dimentichiamolo, sono prima di tutto “relazioni”): la necessità di tenere sempre conto di come le proprie scelte saranno prevedibilmente percepite dagli altri, alla luce delle rispettive paure e delle rispettive preoccupazioni di sicurezza. Al contrario, a partire dagli anni Novanta quella della sicurezza si è trasformata per gli Stati Uniti e i loro alleati in una condizione narcisistica, anzi quasi autistica: una sensibilità quasi ossessiva per le proprie preoccupazioni, combinata a una assoluta indifferenza per le preoccupazioni altrui.
In un mondo sempre più interconnesso, un ruolo fondamentale vieppiù crescente è rivestito dall’informazione. Anche questa, però, è in crisi, e non tanto per il fenomeno delle “fake news”, in realtà sempre esistito, bensì per la dissoluzione dell’autorità e della legittimità dei “saperi ufficiali” che aprono il varco alla diffusione delle prime.
Anche su questo punto le interpretazioni e le retoriche dominanti sono storicamente rozze e politicamente autoindulgenti. Intanto perché, come ha ricordato lei, i fenomeni della disinformazione e della sovversione sono sempre esistiti: anzi, se confrontati con le dimensioni che hanno avuto per tutto il Novecento, quelli attuali saranno pure molto più sofisticati nei mezzi ma non sono affatto più pervasivi nei risultati. Ma, soprattutto, perché è vero esattamente l’opposto di ciò che continuiamo a ripeterci da alcuni anni a questa parte: non è stata la diffusione delle “false notizie” a produrre la crisi di legittimità dei saperi ufficiali, ma è stata la crisi della legittimità dei saperi ufficiali ad aprire lo spazio alla diffusione delle “false notizie”. E lo ha fatto perché, ben prima di essere screditati dall’esterno, i saperi ufficiali si erano già abbondantemente screditati dal proprio interno: diffondendo, sin dagli anni Novanta, aspettative politiche ed economiche destinate a essere clamorosamente smentite negli anni successivi; nascondendo l’aumento delle diseguaglianze e del disagio sociale sotto le fantasie della società e dei valori post-materialisti o, peggio ancora, dietro il vocabolario ottocentesco dell’“invidia sociale”, dell’odio e del rancore; facendo proprie senza batter ciglio tutte le “verità ufficiali” dettate dai governi e, ancora di più, dalle istituzioni internazionali, cioè rinunciando alla portata critica che il pensiero politico e sociale aveva avuto, nel bene e nel male, per tutto il Novecento.
Il libro si conclude con una nota che per alcuni potrebbe suonare realista, ma che per altri potrebbe essere interpretata come pessimista: l’ordine liberale è tutt’altro che perfetto e se non lo si comprende si rischia di causare danni irreparabili, come un conflitto nucleare. L’ordine internazionale, così come è stato concepito, è definitivamente fallito, secondo lei, o può essere emendato?
L’ordine internazionale liberale come fu concepito negli anni Novanta del XX secolo e come ha continuato a essere invocato anche negli anni successivi è definitivamente fallito, a maggior ragione oggi con il disimpegno del paese che lo aveva creato e garantito, gli Stati Uniti. Ma questo non significa che non sia possibile immaginare un ordine internazionale diverso. Anzi proprio questa sarà la sfida politica e intellettuale dei prossimi anni: concepire ed edificare un ordine internazionale diverso da tutti quelli del passato, poiché non più incentrato sul primato dell’Europa prima e dell’Occidente poi. Un ordine che non dovrà rinunciare a tutto ciò che di buono c’era nell’ordine degli ultimi decenni, ma non potrà più riflettere fino in fondo tutti i princìpi e i valori che vorremmo, dal momento che dovrà tenere conto – perché questa è la vera sfida – anche delle preferenze di tutti gli altri.

Alessandro Colombo, Il suicidio della pace. Perché l’ordine internazionale liberale ha fallito (1989-2024), Raffaello Cortina, 352 pp, 23 euro
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