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Ora lo sai anche tu come stanno le cose, Lawrence. Ferlinghetti e il Cristo smontato

In morte del poeta libraio, celebrato esponente della beat generation che una volta, quando era qui con noi, qualcosa deve averlo intravisto

Mauro Grimoldi
17/03/2021 - 11:40
Magazine
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Lawrence Ferlinghetti

Un po’ sarà perché ci sono cresciuto, un po’ perché uno che se ne rotola via con un secolo sugli omeri ti fa pensare che la morte non soffre di amnesia, un po’ perché il rettore della mia scuola, un uomo colto, venuto su a pane e Eliot, non sa neanche chi sia e, infine, un po’ perché A Coney Island of the Mind ha la mia stessa età, ma la morte di Lawrence Ferlinghetti mi ha colpito, fino a farmi riprendere in mano parole che non frequentavo da anni. 

Nato quinto a New York, sul finire del marzo 1919, Ferlinghetti non ha conosciuto il papà, Carlo e forse anche Leopoldo da Brescia, morto d’infarto qualche mese prima che la mamma, una donna dal lungo nome in cui scorreva sangue di mille paesi, lo mettesse al mondo, per ritirarsi non molto tempo dopo in manicomio, lasciandolo alla zia Emilie, che se lo portò per qualche tempo in Francia, poi ritornò a New York, lo tenne con sé, lo lasciò temporaneamente a un orfanotrofio, per mancanza di mezzi di sostentamento, se lo riprese quando trovò lavoro come istitutrice presso una famiglia facoltosa di Bronxville (New York), a cui finì per affidarlo di fatto e ad libitum, uscendo d’improvviso di scena, definitivamente o quasi. I Bisland, così faceva di cognome la famiglia, che avevano perso un figlio che si chiamava Lawrence, lo accolsero volentieri e lo fecero studiare. Laureato in giornalismo, si arruolò nella marina durante la Seconda Guerra mondiale e fu a Nagasaki pochi giorni dopo l’esplosione atomica. Finita la guerra, prese un dottorato alla Sorbona, tornò a New York e infine, all’inizio degli anni Cinquanta, si stabilì, sposato, a San Francisco, dove aprì la libreria City Lights, che, attiva ancor oggi, è stata nei decenni ritrovo di poeti, scrittori, musicisti e sbandati d’arte varia, oltre a casa editrice e a mille altre cose. 

Quante etichette per uno come lui

Chi ne volesse sapere di più può leggersi A little boy, una specie di racconto autobiografico che Ferlinghetti scrisse come regalo per i suoi cento anni. Sui giornali, poi, potete trovare notizie dettagliate su di lui e sui soci più o meno noti (Kerouac, Ginsberg, Borroughs, Dylan e compagnia), da cui nacque la genìa che passò alla storia con l’etichetta di beat generation, la quale, a sua volta, come il latte e suoi derivati, il Po e i suoi affluenti, ebbe le sue ramificate diramazioni di pacifisti, libertari, progressisti, anarchici, psichedelici e affini. 

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Una bella collezione di titoli, per chi è nato con l’ambizione di non avere etichette né vincoli d’appartenenza di sorta. Chissà se ci avranno pensato? È un mondo che non c’è più, ma ha avuto la sua parte nella forgiatura di non poche delle sbarre che compongono la gabbia dell’odierna libertà. Un articolo molto ambito, che si acquista, anche a rate, anche online, presso un gran numero di negozi e spacci; roba che si compra con pochi soldi, ma finisce per costare molto cara, come è destino che sia per tutte le imitazioni, le contraffazioni e le caricature delle grandi cose.

Io, per me, sono andato a rileggermi una poesia tratta dalla sua raccolta più importante, A Coney Island of the Mind, appunto. E questa vi offro. 

Una notizia che circola

Si tratta di un racconto, qualcosa che è accaduto in un momento di questa nostra eternità, perché già di questo si tratta, qui, e non perché la nostra eternità sia tutta e solo nel breve e temporaneo passaggio in questo mondo, fino a «quando sarà distrutta la nostra dimora terrena, che è come una tenda». Se lo stesso san Paolo, esperto di stoffe e quindi di tende, ha potuto dire che quand’«anche il nostro uomo esteriore si va[da] disfacendo», «quello interiore si rinnova di giorno in giorno», è perché il senza tempo si è intersecato nel tempo, e nessuno lo toglie più. Sta sulla croce, con gli occhi aperti del risorto, e fa quello che deve fare e mai smetterà di fare. Le ultime notizie dal mondo lo danno per morto. Ma sono fonti inaffidabili. La notizia circola, caro Lawrence, resiste da quando gli apostoli lo hanno detto ad altri uomini, che lo hanno detto ad altri ancora, che lo hanno detto di tempo in tempo, di luogo in luogo, fino a che qualcuno lo ha detto a me, a noi, a cui ora tocca il compito di dirlo a chi vive con noi, perché non rimanga ignota la sua presenza, per noi come per te, e per quelli che verranno dopo di noi. Fino a quando il Figlio dell’Uomo verrà; e, quando verrà, troverà ancora la fede?

Le solite fonti inaffidabili

Questa notizia di carne e di sangue, fatta di vita e di vite, è amicizia, perché «non vi chiamo più servi, ma amici»; è la comunione dei santi, cioè degli uomini e di Dio, quello che tiene su il mondo, e dà a tutti la vita e il respiro a ogni cosa.

Ma ecco qui sotto Ferlinghetti, nella traduzione di Damiano Abeni e Moira Egan nell’edizione pubblicata da minimum fax.

«Un bel giorno durante l’eternità
si fanno vivi dei tipi
e uno di questi
che si fa vivo in potente ritardo
è una specie di falegname
che viene da un posto all’antica
tipo la Galilea
e comincia a dare di matto
e a sostenere che sa il segreto
di chi ha fatto cielo
e terra
e che lo strafico
che ci ha fregati tanto bene
è il suo Vecchio

E per di più
aggiunge
sta tutto scritto
su qualche pergamena arrotolata
che gli scagnozzi
hanno lasciato in giro nel Mar Morto chissà dove
tanto tanto tempo fa
e che non si ritroverà nemmeno
per un paio di migliaia d’anni suppergiù
o perlomeno per
millenovecento e quarantasette anni
a voler fare i pignoli
e anche allora
nessuno ci crederà per davvero
e manco a me
se è per quello

Sei roba che scotta
gli dicono

E lo freddano

Lo stendono sul Legno a freddarsi
Dopodiché tutti
sono sempre lì a fare modellini
di questo Legno
con Lui appeso
e sempre a bisbigliare il Suo nome
e a chiederGli a gran voce di venir giù
e unirsi
al loro gruppo jazz
come se lui fosse il super-strafico
che deve suonare il sassofono
altrimenti le cose non vanno come si deve

Solo che lui giù non ci viene
dal Suo Legno
Se ne sta lì appeso e basta
sul Suo Legno
con l’aria imPietrita
e freddo freddo
e pure
secondo un riepilogo
delle ultime notizie internazionali
dalle solite fonti inaffidabili
morto stecchito».

Il trionfo dell’improbabile

Sarai sorpreso, adesso. E non sorpreso, anche. Nel tuo strambo parlare, storto come e più dei rami secchi di Montale, qualcosa, infatti, devi averlo intravisto, quando scrivevi che, quest’anno, Cristo è sceso giù, «climbed down», smontato.

«Cristo è smontato
dal Suo Legno nudo
quest’anno
e piano piano s’è infilato di nuovo via
in un anonimo ventre di Maria
dove nella più tenebrosa notte
dell’anonima anima di tutti quanti
Egli di nuovo attende
un’inimmaginabile
e impossibilmente
Immacolata Riconcezione
in assoluto il più folle
dei Secondi Avventi».

Nell’immaginazione, o nel delirio della fantasia, certe cose non accadono, neppure si osa pensarle, perché impensabili sono. E se le si pensa, si finisce per sbroccare. Ma nella realtà, la realtà che Dio plasma nella sua eterna infanzia, l’impensabile sfolgora: negli alberi, nel fiore e nel cielo, nella tartaruga e nella tigre, e in tutte le innumerevoli presenze che abitano il cosmo, quelle che esistono senza che noi lo si sappia e quelle che vediamo tutti i giorni, uscendo di casa o affacciati alla finestra. 

«La vita», infatti, «è sempre trionfo dell’improbabile e miracolo dell’imprevisto», lo sapeva Henry De Lubac, e lo cantava Dante, lo sai bene tu, nel più umile e grande inno alla realtà che sia mai stato scritto a riguardo di questa nostra temporale eternità.

«Nel ventre tuo si raccese l’amore,
per lo cui caldo ne l’etterna pace
così è germinato questo fiore».

Foto di Christopher.Michel, licenza CC BY 2.0

Tags: libripoesiatempi marzo 2021
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