
Opere postume, tra scandali, scarti e confessioni
Gli eredi sono solennemente riuniti nello studio del defunto. Nella parete settentrionale della stanza vampeggia il fuoco di un maestoso camino. Inutile dire che i volti dei presenti sono sinistramente illuminati. In mezzo a loro, però, non c’è il morto, ma un voluminoso manoscritto. I suoi neri caratteri paiono prendere vita alla luce stroboscopica delle fiamme. La domanda è una: gettare il manoscritto nel camino o precipitarsi dal primo editore che proponga un cospicuo anticipo?
Non è una divagazione narrativa, ma una rappresentazione più o meno fedele di ciò che generalmente accade quando uno scrittore, morendo, lascia dietro di sé una scia di opere incompiute o tenute segrete, in ogni caso, inedite. Bisogna, però, fare delle distinzioni tra quelle che potremmo definire opere occultate deliberatamente a causa del loro contenuto scandaloso, opere semplicemente scartate in quanto ritenute indegne di pubblicazione dal loro autore, le opere intrinsecamente incompiute, un equivalente letterario del non-finito michelangiolesco, e le opere interrotte dalla morte dello scrittore.
Alla prima categoria si può attribuire il celebre romanzo di E. M. Forster, Maurice, scritto tra il 1913 e il 1914, ma pubblicato postumo nel 1971, che è, di certo, l’opera più intima dello scrittore britannico. Maurice è una vera e propria confessione, nella quale Forster non fa mistero della propria omosessualità. Pubblicato a diversi anni dalla morte del suo autore, per ragioni analoghe, ma, questa volta, con il suo beneplacito, è il monumentale diario di Thomas Mann, nel quale un Mann, un po’ infatuato di sé, registra gli episodi più irrilevanti delle sue giornate e fatti non sempre intonati all’immagine di grande dignità, che comunicava in vita. Leggere gli apprezzamenti, che Mann riserva al figlio adolescente di Tagore, è un po’ come compulsare il diario segreto di Von Aschenbach durante il suo soggiorno veneziano. Queste due opere esemplificano il caso di manoscritti intenzionalmente sottratti alle stampe e pubblicati postumi, ma non incompiuti – nel caso del diario il problema della compiutezza ovviamente non si pone –, con la significativa differenza che Maurice fu pubblicato con ogni probabilità contro la volontà di Forster, mentre Mann, con ragguardevole prosopopea, come fa notare Javier Marias in un suo ironico medaglione dello scrittore tedesco, aveva autorizzato la pubblicazione dei suoi diari, a patto che avvenisse a vent’anni di distanza dalla sua morte, confidando nella propria immortalità.
Un caso a parte, che, però, merita di essere menzionato, è quello di Preghiere esaudite, romanzo di Truman Capote, pubblicato, manco a dirlo, postumo. Nella fattispecie, si tratta di un romanzo destinato alla pubblicazione, ma rimasto incompiuto a causa della prematura morte del suo autore, che può essere assimilato alle opere succitate di Forster e Mann, sia perché si inserisce nel filone confessionale-autobiografico, sia perché la sua pubblicazione suscitò grande scandalo. In esso Capote colpiva non solo i vizi, ma anche i viziosi, facendo nomi e cognomi di scrittori e grandi star holliwoodiane.
Alla seconda categoria appartengono generalmente le opere giovanili, che l’autore, ormai affermato, respinge per la loro acerbità. La pubblicazione di quest’ultime, con valore puramente documentario, non genera la drammatica conflittualità del quadretto iniziale e, di solito, non esiste nessuna volontà espressa direttamente dal loro autore che possa legittimare o delegittimare una tale operazione.
Veniamo, dunque, alle opere incompiute e/o interrotte, nei confronti delle quali gli eredi hanno la massima responsabilità. Talvolta si è trattato di decidere della sorte postuma di uno scrittore contravvenendo alla sua stessa volontà, come nell’arcinoto caso dell’Eneide o dei romanzi di Kafka pubblicati da Max Brod e, qui, il successo ottenuto dalle opere ha fatto passare in secondo piano la questione morale. Che dire, però, dell’eclatante caso di Nabokov, il cui romanzo postumo intitolato L’originale di Laura, custodito in una cassetta di sicurezza in Svizzera per più di vent’anni, è stato pubblicato nel 2009 per decisione del figlio in aperta opposizione alle disposizioni paterne, un romanzo, che si è rivelato essere una scarna sequela di appunti, che, se è vero che profilano un Nabokov sconosciuto, non sono quantitativamente rilevanti? L’opinione pubblica si è divisa sulla scelta compiuta dall’erede dello scrittore, ma il parere dei critici è stato abbastanza unanime: l’opera non aggiunge nulla al già meraviglioso corpus nabokoviano.
In questi ultimi mesi è stata pubblicata in Italia la traduzione dell’incompiuto romanzo postumo di David F. Wallace, Il re pallido, accolto dal pubblico di lettori e di critici con grande entusiasmo. Sarà la nuova pietra miliare della letteratura americana o un parziale insuccesso dalla coscienza sporca come quello del romanzo di Nabokov?
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