Olanda. Il rebus di un governo sia “con” che “senza” Geert Wilders

Di Rodolfo Casadei
24 Novembre 2023
Il leader di destra ha vinto le elezioni, ma ora bisognerà scendere a compromessi per formare un esecutivo. Oppure una grande coalizione senza di lui. Analisi post voto
Un manifesto elettorale con il volto del leader del Pvv Geert Wilders, L'Aia, Olanda, 23 novembre 2023 (Ansa)
Un manifesto elettorale con il volto del leader del Pvv Geert Wilders, L'Aia, Olanda, 23 novembre 2023 (Ansa)

I sondaggi dell’ultima settimana lo davano in grande ascesa, alcuni al primo posto nelle preferenze degli elettori. Ma nessuno immaginava che Geert Wilders e il suo Partito per la Libertà (Pvv) avrebbero addirittura trionfato nelle elezioni politiche olandesi anticipate del 22 novembre, più che raddoppiando i seggi nella Camera bassa del parlamento (da 17 a 37, col 99 per cento dei voti scrutinati) e scavando un solco di ben 8 punti percentuali fra sé e la seconda forza classificata, l’alleanza verde-laburista (Gl-PvdA) dell’ex commissario europeo Frans Timmermans (23,5 per cento contro 15,5 per cento).

Penalizzatissimi i partiti del governo uscente: i liberal-conservatori del Partito popolare per la libertà e la democrazia (Vvd) dell’ex premier Mark Rutte scendono da 34 a 24 seggi, i liberal-radicali di D66 perdono addirittura quasi i due terzi dei loro seggi e passano da 24 a 9; stesso destino per i democristiani di Cda, che passano da 15 a 5 e per i cristiano-sociali di Cu, che scendono da 5 a 3.

La vecchia maggioranza vede quasi dimezzato il suo peso in parlamento: da 78 seggi a 41! Invece tutti i partiti di opposizione, vecchi e nuovi, registrano grandi successi: il centrista Omtzigt, transfuga del Cda, col suo partito Nsc nato appena tre mesi fa porta a casa 20 seggi e diventa la quarta forza politica del paese; il Movimento civico-contadino (Bbb) non ripete l’exploit di aprile, quando era arrivato primo in tutte le province del regno nelle elezioni amministrative, ma sale comunque da 1 a 7 seggi; l’alleanza verde-laburista non sfonda, ma comunque guadagna 8 seggi in più rispetto a quelli che PvdA e GroenLinks avevano separatamente nel precedente parlamento.

Un olandese su quattro col Pvv

Ora il pallino è nelle mani del più sulfureo di tutti gli uomini politici olandesi, che deve decidere se annacquare parecchio il suo vino pur di entrare a far parte di una coalizione di governo dove tutti gli altri partiti sarebbero più moderati del suo, oppure proseguire nella linea oltranzista tenuta da sempre e costringere gli altri partiti ad alleanze innaturali che condurrebbero alla creazione di esecutivi destinati a entrare presto in crisi e quindi all’indizione di nuove elezioni, nella quali il partito di Wilders crescerebbe ancora, ma non avrebbe la certezza di guidare un governo.

È già successo che un partito olandese vincesse le elezioni ma poi fosse tenuto fuori dal governo (nel 1982 i laburisti conquistarono 47 seggi e il 30 per cento dei voti davanti ai cristiano-democratici del Cda, che si allearono coi liberali del Vvd per determinare una maggioranza di governo e lasciare la sinistra all’opposizione). È anche già successo che il babau Wilders partecipasse a un governo (fra l’altro di minoranza) nella forma del sostegno esterno al primo esecutivo Rutte, nel 2010. Ma proprio lui lo fece cadere, dopo 18 mesi, per non votare misure di austerità.

Adesso però la situazione è diversa, il Pvv è il primo partito del paese, col suo miglior risultato di sempre: quasi un olandese su quattro lo ha votato. Prima del voto, la leader del Vvd Dilan Yeşilgöz-Zegerius, che ha preso il posto di Mark Rutte, aveva manifestato la sua disponibilità a governare insieme al Pvv, ma non immaginava che questo sarebbe stato il primo partito del paese, legittimato a chiedere la guida del governo.

Linea più morbida e pragmatica

Se Wilders cercasse di far entrare nel programma dell’esecutivo i contenuti della piattaforma del suo partito, i negoziati per la formazione del nuovo governo fallirebbero certamente. Il Pvv propone la chiusura delle moschee e delle scuole coraniche e la messa la bando del libro sacro dell’islam in Olanda, la proibizione del foulard islamico negli uffici pubblici, un referendum per far uscire il paese dall’Unione Europea, un’estrema limitazione al numero degli stranieri con permesso di residenza, compresi gli “studenti internazionali”, la cessazione delle forniture di armi all’Ucraina, il ritiro dagli accordi internazionali sul clima, il veto all’ingresso di nuovi paesi nell’Unione Europea, il ripristino dei controlli alle frontiere, la riduzione dei contributi olandesi alla Ue, il trasferimento dell’ambasciata olandese in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme e la chiusura dell’ufficio diplomatico olandese a Ramallah, presso l’Autorità palestinese.

Nel discorso di mercoledì sera, quando gli exit poll già annunciavano una sonora vittoria, Wilders è stato molto più morbido, evocando soltanto una forte riduzione dell’immigrazione e dell’accoglimento delle domande dei richiedenti asilo e affermando che non violerà nessuna legge in materia di libertà religiosa, né quel che dice la Costituzione olandese in materia.

D’altra parte, nel corso della campagna elettorale aveva messo la sordina al tema della “deislamizzazione” dei Paesi Bassi, e si era dedicato più intensamente a quello dell’immigrazione, puntando più sui fattori socio-economici che su quelli culturali e religiosi: l’immigrazione andrebbe fermata perché compromette lo Stato sociale olandese facendone esplodere i costi e provocando un rincaro degli affitti insostenibile per moltissime persone. Wilders ha pure evocato la formula del nuovo governo di “centrodestra”, che secondo lui dovrebbe raccogliere attorno al Pvv e al suo premierato il Vvd, l’Nsc e il Bbb. Tutti e tre questi partiti, pur avendo punti in comune col programma del Pvv, nei giorni precedenti al voto avevano fatto conoscere la loro indisponibilità a partecipare a un governo guidato da Wilders in persona.

Un governo senza Wilders

Il problema di un governo guidato personalmente da Wilders non è solo nel programma del suo partito – che può essere accantonato per esigenze di governabilità, come si vede fare ovunque nelle democrazie -, ma nella personalità del leader del Pvv e nella sua storia. Wilders ha definito Maometto “pedofilo”, l’islam “un’ideologia fascista” e “una religione retrograda”. A causa di sue dichiarazioni sono scoppiate violente proteste con perdite umane in Pakistan, Indonesia ed Egitto. In un comizio del 2014 chiese alla folla se voleva un’Olanda con “meno marocchini”, e alla risposta positiva del pubblico ribatté: «Ce ne faremo carico» (e per questo fu condannato in tribunale per ingiuria). Come potrebbe un esponente con questi precedenti incontrare capi di Stato di paesi dell’Oci, visitare nazioni dove l’islam è religione di Stato, prendere la parola alle Nazioni Unite, ecc.?

Inoltre con lui le misure di sicurezza dovrebbero essere portate all’estremo: già ora il leader della destra radicale vive sotto scorta 24 ore su 24 e cambia residenza continuamente (insieme alla famiglia) a causa di minacce di morte. Il suo nome fu trovato in una lista di personalità da assassinare stilata da al Qaeda all’indomani dell’assassinio di Theo van Gogh, il regista del film Submission che raccontava la storia di una donna musulmana picchiata dal marito e violentata da uno zio. Wilders cercò di partecipare a una presentazione del film a Londra, ma fu respinto alla frontiera per ordine delle autorità britanniche.

Un governo senza Wilders, tuttavia, non si potrebbe fare se non creando una “grosse Koalition” alla tedesca, con dentro sinistra, liberali e cristiano-democratici. La politica olandese è molto pragmatica, le coalizioni di governo sono sempre molto variegate, ma stavolta i potenziali partner di un esecutivo del genere annuserebbero subito aria di disfatta elettorale. I pessimi risultati nelle urne dei partiti del quadripartito di governo uscente sono una lezione difficile da trascurare.

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