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Obiezione di coscienza: «Da sempre vive questa legge»

Dalle Dat alle unioni civili, uno dei diritti inviolabili dell’uomo pare non potere più essere riconosciuto. Perché? Cosa è successo? Spunti da un convegno

Rodolfo Casadei
19/06/2017 - 3:00
Società
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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Fra il 1972 e il 2004 il parlamento italiano ha votato e la Corte costituzionale ha confermato una serie di leggi aventi per oggetto o contenenti nelle loro disposizioni l’obiezione di coscienza: nel 1972 la legge che ammetteva l’obiezione al servizio militare di leva, nel 1978 la legge che permetteva l’interruzione volontaria di gravidanza e allo stesso tempo istituiva il diritto all’obiezione di coscienza per il personale medico e paramedico che non intendeva essere coinvolto nell’aborto; nel 1993 la legge che permetteva l’obiezione di coscienza alla sperimentazione animale a medici, ricercatori e personale sanitario; nel 2004 la legge sulla procreazione assistita che prevedeva anch’essa, all’articolo 16, il diritto all’obiezione di coscienza per il personale sanitario che poteva essere chiamato a partecipare all’applicazione delle tecniche della fecondazione artificiale.

Dopo di allora, più nulla. Leggi eticamente sensibili come quella sulle unioni civili (2016) e quella attualmente in discussione al Senato sulle Disposizioni anticipate di trattamento (detta anche legge sul fine vita o sul testamento biologico) non prevedono la possibilità per i pubblici ufficiali di astenersi dal presiedere alle unioni e per i medici di obiettare all’esecuzione delle richieste del paziente. Infatti in corso d’opera la proposta di legge ha cambiato nome: da Dichiarazioni a Disposizioni anticipate di trattamento, proprio per vincolare il medico all’esecuzione, pena sanzioni civili e penali. Perché sta succedendo questo? Perché da un anno e più è in corso una campagna di stampa per far credere che in Italia è estremamente difficoltoso per una donna abortire a causa dell’elevato numero di obiettori, quando in realtà mediamente ogni ginecologo non obiettore non ha che da effettuare 2-3 interruzioni di gravidanza alla settimana per smaltire la richiesta totale di aborti volontari in Italia?

Costituzionalmente garantito
Qualche risposta a questi interrogativi è emersa al convegno “Diritti fondamentali della persona tra norma giuridica e libertà di coscienza” organizzato a Milano dal Centro Studi Rosario Livatino. Dove filosofi, giuristi e magistrati hanno spiegato su quali basi filosofiche, giuridiche e di diritto positivo si fonda il diritto all’obiezione di coscienza. E per gente pratica come noi è contato molto scoprire che l’obiezione di coscienza non è una concessione che la maggioranza fa alla minoranza, una concessione di cui a volte si può fare a meno come nel caso delle leggi sulle unioni civili e sul fine vita. L’obiezione di coscienza è un valore costituzionalmente garantito, sissignori. Andate a leggere la sentenza 467/91 della Corte costituzionale, chiamata a deliberare sulla costituzionalità dell’obiezione di coscienza al servizio militare. «A livello dei valori costituzionali», dice la sentenza, «la protezione della coscienza individuale si ricava dalla tutela delle libertà fondamentali e dei diritti inviolabili riconosciuti e garantiti all’uomo come singolo, ai sensi dell’art. 2 della Costituzione, dal momento che non può darsi una piena ed effettiva garanzia di questi ultimi senza che sia stabilita una correlativa protezione costituzionale di quella relazione intima e privilegiata dell’uomo con se stesso che di quelli costituisce la base spirituale-culturale e il fondamento di valore etico-giuridico».

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L’art. 2 della Costituzione, ricordiamolo, è quello con cui la Repubblica riconosce i diritti inviolabili dell’uomo. Li riconosce, cioè afferma che esistono prima dello Stato, non è lo Stato a crearli. «In altri termini, poiché la coscienza individuale ha rilievo costituzionale quale principio creativo che rende possibile la realtà delle libertà fondamentali dell’uomo e quale regno delle virtualità di espressione dei diritti inviolabili del singolo nella vita di relazione, essa gode di una protezione costituzionale commisurata alla necessità che quelle liabertà e quei diritti non risultino irragionevolmente compressi nelle loro possibilità di manifestazione e di svolgimento a causa di preclusioni o di impedimenti ingiustificatamente posti alle potenzialità di determinazione della coscienza medesima».

Coscienza e dignità della persona sono un tutt’uno: «Di qui deriva che – quando sia ragionevolmente necessaria rispetto al fine della garanzia del nucleo essenziale di uno o più diritti inviolabili dell’uomo, quale, ad esempio, la libertà di manifestazione dei propri convincimenti morali o filosofici (art. 21 della Costituzione) o della propria fede religiosa (art. 19 della Costituzione) – la sfera intima della coscienza individuale deve esser considerata come il riflesso giuridico più profondo dell’idea universale della dignità della persona umana che circonda quei diritti, riflesso giuridico che, nelle sue determinazioni conformi a quell’idea essenziale, esige una tutela equivalente a quella accordata ai menzionati diritti (…)».

La sentenza ovviamente ammette che è necessaria «una delicata opera del legislatore diretta a bilanciarla (la protezione della sfera intima della coscienza individuale, ndr) con contrastanti doveri o beni di rilievo costituzionale e a graduarne le possibilità di realizzazione in modo da non arrecare pregiudizio al buon funzionamento delle strutture organizzative e dei servizi d’interesse generale», ma questo non potrà mai togliere che «la sfera di potenzialità giuridiche della coscienza individuale rappresenta (…) un valore costituzionale così elevato da giustificare la previsione di esenzioni privilegiate dall’assolvimento di doveri pubblici qualificati dalla Costituzione come inderogabili (cosiddetta obiezione di coscienza)».

Da Aristotele a Tocqueville
Il messaggio politico di fondo del convegno di Milano è stato il richiamo ai contenuti di questa sentenza della Corte costituzionale. Nella triplice cornice filosofica della relazione di Giacomo Samek Lodovici, docente di storia delle dottrine morali alla Cattolica di Milano, giuridica dell’intervento di Grégor Puppinck, direttore dello European Centre for Law and Justice, e relativa al diritto italiano del consigliere di Cassazione dottor Giacomo Rocchi. Le suggestioni dell’intervento di Samek Lodovici sono state quelle che ci si aspetta su questo argomento. Il classico esempio della coscienza dei singoli di fronte al nazismo: «Che cosa rende legittimo il processo di Norimberga ai gerarchi nazisti? Visto che i gerarchi nazisti applicavano la legge, con quale giustificazione è possibile processarli? È legittimo processarli per crimini contro l’umanità. Ma chi definisce quali sono i crimini contro l’umanità? Se si accetta il cosiddetto positivismo giuridico, il bene, il male ed i crimini sono fissati di volta in volta dalle leggi e dalle maggioranze. Il problema, però, è che leggi umane possono essere ingiuste e le maggioranze possono avere torto: visto che l’uomo è un essere fallibile, anche una somma innumerevole di uomini resta a sua volta fallibile. (…) La sola provenienza di una legge dall’autorità non può garantire adeguatamente la giustizia della legge, la quale può malvagiamente decretare di calpestare i diritti umani fondamentali, come è accaduto nei campi di sterminio. Come ha riconosciuto Kelsen: “Dal punto di vista della scienza giuridica il diritto stabilito dal regime nazista è diritto. Il diritto dell’Unione Sovietica è diritto!”. Nemmeno le leggi varate da una democrazia a maggioranza sono immuni dal pericolo della malvagità. Quando in una democrazia la verità sul bene non guida l’azione politica, prevale facilmente la logica del potere e della violenza: se una democrazia prescinde dalla verità sul bene corre il rischio di cadere nel “dispotismo e nell’onnipotenza della maggioranza” denunciati da Tocqueville».

E come si trova questa “verità sul bene?”. Lo sapevano già Aristotele e i greci: «Vi è infatti un giusto e un ingiusto per natura e che è a tutti comune, anche se non vi è alcuna comunanza reciproca e neppure un patto: così come sembra dire l’Antigone di Sofocle, che cioè è giusto seppellire, contro le disposizioni, Polinice, perché ciò è giusto per natura: “Non infatti da ora o da ieri, ma da sempre vive questa legge”». L’ostilità all’obiezione di coscienza, allora, altro non è che un sintomo del neo-totalitarismo, come non ha avuto paura di affermare Giacomo Rocchi: «C’è il rischio che le deliberazioni di parlamento e giudici che fanno dell’obiezione di coscienza solo una disposizione prevista o meno dalle leggi sia l’anticamera di uno Stato non più democratico e non più pluralista. Certe sentenze del Tar del Lazio rappresentano prove tecniche di Stato totalitario».

@RodolfoCasadei

Foto Ansa

Tags: Abortodatdecreto finevitaobiezione coscienzatestamento biologicounioni civili
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